Antonio Troise
A Milano la peggiore seduta di sempre: un crollo di quasi 17 punti. In una sola giornata sono andati in fumo 65 miliardi di euro, quasi il triplo rispetto a quello che il governo ha messo in campo per l’emergenza Coronavirus. Ma è andata malissimo su tutte le piazze europee, che hanno lasciato sul terreno oltre 825 miliardi. Una debacle. Colpa del virus e delle incertezze che la pandemia si porta dietro. Ma anche colpa di una Bce che, alla sua prima vera prova dopo l’addio di Mario Draghi, non ha saputo mandare segnali rassicuranti ai mercati. Si è limitata ad utilizzare il vecchio “bazooka” del quantitative easing, inondando i mercati di nuova liquidità e senza capire, probabilmente, che servivano ben altri stimoli, una cura-choc sul modello di quella che, nelle stesse ore, sta preparando la Federal Reserve americana. Tanto che perfino il Presidente della Repubblica, Sergio Mattarella, non ha trattenuto il uso disappunto: “L’Italia si attende solidarietà e non ostacoli dall’Ue”. Mentre Lega e Cinquestelle, sono tornati a parlare all’unisono chiedendo le dimissioni della Lagarde: “C’è stato schiaffo all’Italia”. Altro che lo slogan, “siamo tutti italiani”, intonato qualche giorno fa dalla presidente della Commissione Europea, Ursula Von Der Leyen.
La verità è che, ancora una volta, di fronte ad un’emergenza di queste dimensioni, le istituzioni europee si sono mostrate impreparate. La crisi economica innescata dall’epidemia esportata dalla Cina rischia di avere dimensioni imprevedibili. E non solo finanziarie. Prima o poi la tempesta dei mercati si sposterà sull’economia reale. Bruciando non solo capitali, ma anche investimenti e posti di lavoro. Ad alimentare ancora di più l’incertezza c’è poi un’ulteriore considerazione. Se davvero dovesse passare l’idea di chiudere non solo i negozi ma anche le fabbriche, l’azienda Italia potrebbe entrare in un tunnel pieno di incognite. Una cosa, infatti, è bloccare per due settimane (o anche più) un esercizio commerciale: quando l’allarme sarà finito, le serrande si rialzeranno e i clienti torneranno ad acquistare. Un’altra, invece, è spegnere gli impianti di una fabbrica. Non è facile rimetterli in moto. Ma, soprattutto, non è detto che una volta ripartiti, gli imprenditori possano ripartire come se non fosse successo nulla e, soprattutto, con gli stessi ordini di prima. Il rischio, insomma, è che oltre a perdere posti di lavoro, l’azienda Italia arretri sui mercati rendendo ancora più lenta la ripartenza. Di fronte a questi scenari sarebbe perciò necessario non lasciarsi trasportare dall’emotività. Ma anche mettere in campo azioni forti per difendere il nostro sistema produttivo ed evitare che affondino non solo i mercati finanziari ma anche il Paese reale. Quello che già oggi è in guerra contro un nemico terribile.