La legge di stabilità ha superato l’esame del Parlamento . Ma resta ancora tutta da giocare la partita più importante, quella dei mercati. Dal punto di vista formale il provvedimento ha resistito al solito e ormai tradizionale assalto alla diligenza dei conti pubblici da parte di deputati e senatori, lobbyes e clientele. Tanto che l’esecutivo é stato costretto a fare gli straordinari con il decreto milleproroghe.
Alla fine, le misure contenute nella manovra dovrebbero garantire il rispetto del tetto del 3% nel rapporto deficit/pil. Ma difficilmente saranno in grado di imprimere quella svolta alla nostra economia auspicata da tutti, a cominciare dal mondo produttivo. Per molti versi la Legge di stabilità è stata l’ennesima occasione persa per rimettere in marcia l’azienda Italia. Certo, margini di manovra per fare di più erano esigui. Con il debito pubblico che ci troviamo sulle spalle, il confine fra coraggio e temerarietá é forse troppo sottile per essere superato a cuor leggero. Ma hanno ragione da vendere i giornali stranieri che osservano, con una punta di sconcerto, l’assoluta assenza di riforme fra i capitoli della manovra del governo. Tutto rimandato al 2014, compresa la promessa di riduzione delle tasse su imprese e lavoratori strettamente collegata all’esito della spending review.
Punto e a capo. La legge di stabilitá da questo punto di vista é giá stata archiviata. Il suo contributo alla crescita sarà modesto, appena qualche decimale di Pil. Una cifra molto lontana dalle aspettative degli imprenditori che si aspettavano un intervento più deciso del governo per rilanciare i consumi. Ancora più deludente è l’impatto della manovra sul fronte delle tasse. C’è, anzi, il rischio concreto che la nuova imposta sulla casa potrebbe costare ancora di più dell’odiata Imu. Mentre, per quanto riguarda il lavoro, sono ancora tutte da verificare le cifre promesse dal governo per rispettare gli impegni assunti in Europa con la cosiddetta Young Guarantee, il piano straordinario con il quale gli esecutivi si sono impegnati a trovare un ‘occupazione stabile agli under 35 entro 4 mesi dalla perdita del lavoro o dalla fine degli studi.
Lo scenario, insomma, contiene ancora più ombre che luci. É vero che nell’ultimo trimestre dell’anno il pil é tornato a salire segnando, tecnicamente, la fine della recessione. Ma ora, il problema del Paese, é di accelerare l’uscita da una crisi che ha avuto gli stessi effetti di una guerra e agganciare il treno di quella crescita che si sta manifestando in maniera più o meno convinta negli altri paesi della zona dell’euro. Per centrare questo obiettivo non c’è che una strada: riprendere con forza quel cammino delle riforme che nessun governo, negli ultimi vent’anni, ha mai messo veramente in agenda.
Certo, prima di ogni altra cosa, servirebbe un esecutivo stabile, con una maggioranza compatta e un orizzonte di medio lungo periodo. Più o meno quello che é riuscita a fare la Merkel in Germania incassando un terzo mandato pieno. In Italia gli scenari sono completamente diversi. Ma, sarebbe estremamente sbagliato rinunciare ad ogni sia pur minimo obiettivo di cambiamento. La spesa pubblica, ad esempio, offre ancora tantissimi margini per una riduzione degli sprechi (che sono tanti) ed un recupero di efficienza (che resta scarsa). Stesso discorso per la lotta all’evasione fiscale, dove potrebbe bastare anche qualche piccolo successo, magari non di facciata, per liberare risorse da destinare alla crescita e alla riduzione delle tasse. Sono a costo zero, poi, quelle riforme che dovrebbero cancellare interi pezzi di burocrazia per semplificare la vita a cittadini e imprese. Così come a saldi invariati sono le misure sull’occupazione e la riforma dell’articolo 18 proposte dal neo leader del Pd, Matteo Renzi. La partita del 2014 é ancora tutta da giocare. Bisognerà solo vedere se davvero l’esecutivo metterá in campo gli strumenti più efficaci per tentare di vincerla. O, per le meno, di pareggiarla.
Antonio Troise