Per accontentare tutti, la Legge di Stabilità ha deluso un po’ tutti. Approvata dai senatori al fotofinish (per anticipare di qualche ora il voto storico sul Berlusconi), sottoposta alla pressione di lobbie e partiti, la manovra per il 2014 ha tutti i vizi e le poche virtù della versione italiana delle “larghe intese”. In Germania, la stessa formula, ha funzionato a dovere, portando il paese fuori dalle secche della recessione in largo anticipo rispetto agli altri partner del Vecchio Continente. Da noi le larghe intese si sono già ristrette con l’uscita di Forza Italia dalla maggioranza. Mentre la Legge di Stabilità, a pochi giorni dal disco verde di Palazzo Madama, non convince quasi nessuno. Non piace, ad esempio, ai sindaci delle principali città italiane alle prese con il pasticcio dell’Imu, l’odiata imposta sulla casa che il governo si era impegnato a cancellare fin dal suo insediamento. La seconda rata, infatti, è stata abolita solo parzialmente e solo in quei comuni che non avevano aumentato l’aliquota base nel 2012. Risultato: i contribuenti di circa 600 comuni italiani dovranno pagare una cifra media compresa fra i 70 e i 104 euro per evitare un nuovo buco nelle casse delle amministrazioni comunali. I sindaci sono sul piede di guerra e si profila addirittura uno scontro istituzionale. I piú duri minacciano di far saltare il confronto con il governo, i più morbidi parlano di promesse disattese. Il problema comunque esiste e può essere risolto solo se l’esecutivo troverá altre risorse. Un compito per niente facile.
Ma, più in generale, è tutto il capitolo fiscale sulla casa che rappresenta ancora un rebus. Si sa poco, ad esempio, anche dalla nuova Iuc, l’imposta che sostituirà nel 2014 Imu e Tasi. La Legge di Stabilità non garantisce che la cifra da versare sarà inferiore alla somma delle due tasse cancellate, come pure aveva annunciato l’esecutivo. Tutto dipenderà dalle decisioni che assumeranno i comuni : se dovessero adottare le aliquote massime (come, del resto, giá successo per l’Imu) i contribuenti potrebbero addirittura rimpiangere la vecchia imposta. Più in generale, comunque, non è ancora definito nel dettaglio il nuovo meccanismo che compenserà le amministrazioni comunali della perdita di gettito. E, in assenza di adeguate contromisure, i sindaci hanno solo due opzioni per far quadrare i bilanci e rispettare il patto di stabilitá: aumentare le imposte o tagliare i servizi. In entrambi i casi saranno i cittadini a perdere la partita,
Ma non c’è solo la casa a rendere indigesta la Legge di Stabilità. Il difetto più grave del provvedimento resta, probabilmente, quello di non aver concentrato le poche risorse disponibili su alcuni obiettivi-chiave per agganciare o rendere più veloce la prossima ripresa economica. La riduzione del cuneo fiscale, anche nella sua nuova versione più favorevole ai redditi bassi, è del tutto insufficiente per sperare in una possibile ripresa dei consumi già a fine anno. Mentre le tredicesime continueranno ad essere falcidiate da mutui e imposte. Anche in questo caso la scommessa dell’esecutivo si chiama spending review ed é affidata a mister mani di forbici, il commissario Cottarelli. L’uomo chiamato da Saccomanni a mettere ordine nella spesa pubblica tagliando gli sprechi ha già presentato il sul piano. Come, del resto, aveva già fatto il suo predecessore, Enrico Bondi, il risanatore della Parmalat. Bisognerà vedere se, questa volta, l’operazione andrà in porto. Ma, nel frattempo, Letta si é già impegnato a investire tutto quello che arriverà dalla riduzione della spesa pubblica e dalla lotta contro l’evasione fiscale sarà destinato alla riduzione del cuneo fiscale, come avevano chiesto a gran voce tutte le parti sociali, dai sindacati alla Confindustria.
Anche le imprese non cantano vittoria. Anzi. Gli sgravi promessi allr aziende si sono ridotti al lumicino. Le risorse destinate agli investimenti produttivi (al netto dei fondi europei) sono minime. Delle annunciate riforme strutturali sul versante delle liberalizzazioni e delle semplificazioni si é persa quasi ogni traccia. Ma, soprattutto, manca qualsiasi progetto di politica industriale in grado di far recuperare al Paese i quasi dieci punti di Pil perduti dal 2007 ad oggi. Per non parlare della vera emergenza, quella del lavoro.
Le vittime più gravi della legge di Stabilità sono, infatti, i giovani. Venerdì l’Istat ha di nuovo diffuso i dati sulla disoccupazione confermando il record di senza lavoro nella fascia di età che va dai 15 ai 24 anni: abbiamo superato il 41%, quasi il doppio della media europea. Peggio di noi, nel Vecchio Continente, c’è solo la Spagna (e, forse, la Grecia, che non ha fornito i dati ufficiali). Se a questa cifra aggiungiamo l’allarme dell’Ocse sulle pensioni da fame con cui si troveranno a fare i conti i giovani impiegati con lavori precari, il quadro diventa ancora più fosco.
A tutti questi problemi la legge di stabilità non ha offerto nessuna soluzione. Ma solo qualche pannicello caldo, come la sperimentazione del reddito minimo finanziata con 40 milioni dal prelievo straordinario sulle cosiddette pensioni d’oro. In Germania il governo delle larghe intese della Merkel punta proprio su questo strumento per fare fronte ad un tasso di disoccupazione molto più contenuto rispetto a quello italiano.
Si dirà che, considerando lo stato di salute della nostra finanza pubblica e il grado di stabilità dell’esecutivo, forse non si poteva fare di più. Il ministro dell’Economia ha più volte fatto notare i costi, superiori a qualsiasi beneficio, di un nuovo sfondamento del deficit, che comporterebbe una inevitabile risalita dello spread e, quindi, dei tassi di interesse sul debito pubblico. Insomma per ora ci si deve accontentare. Non a caso Letta parla già di fase 2 del governo, con una nuova maggioranza più corsa in grado di dare una svolta al Paese.
Ma i tempi del mercato non coincidono quasi mai con quelli della politica. E se non si riducono le tasse dando ossigeno agli italiani e rilanciando i consumi, difficilmente il Bel Paese potrà agganciare il treno della ripresa.
Antonio Troise