Alessandro Corti
“No taxation without representation” recita il principio cardine della democrazia liberale, “nessuna tassazione senza rappresentanza”. Avrebbe dovuto essere anche la regola aurea del federalismo fiscale, un modo per rendere sempre più trasparente il rapporto fra cittadini e fisco, facendo capire a tutti in che maniera sono spesi i soldi dei contribuenti-elettori per poi saldare i conti al momento del voto. Un meccanismo che in Italia, sotto molti aspetti, ha funzionato in senso diametralmente opposto. La maggiore autonomia dei Comuni si è tradotta, infatti, in un aumento boom delle tasse locali: un incremento del 22% in tre anni che, tradotto in soldoni, significa in media 113 euro di imposte per ogni contribuente. Un vero e proprio salasso soprattutto in tempi di crisi e con una pressione fiscale che, in Italia, è diventata insostenibile.
Che cosa è successo? L’analisi della Corte dei Conti non lascia margini di dubbio: i Comuni hanno semplicemente spostato sulle tasche dei contribuenti il peso dei minori trasferimenti decisi con le manovre economiche. Sulla carta, e secondo i solenni impegni assunti da tutti gli ultimi governi, i tagli alla spesa avrebbero dovuto non solo far quadrare i conti pubblici ma anche essere utilizzati per ridurre le tasse. Nella realtà abbiamo rivissuto un copione già visto più volte: quello dello Stato che con una mano finge di dare e con l’altra si riprende tutto, anche con qualche interesse.
Se tutto questo, poi, fosse servito ad avere trasporti pubblici puntuali e puliti, ospedali efficienti, asili con il tempo pieno e scuole moderne, il salasso sarebbe stato meno indigesto. Ma nella stragrande maggioranza dei Comuni, soprattutto quelli più grandi, la realtà è stata completamente diversa con il risultato, per i contribuenti, di subire oltre il danno anche la beffa.
La versione italiana del federalismo fiscale, insomma, si è tradotta in una nuova forma di “deresponsabilizzazione” dei sindaci, che si sono limitati ad applicare le aliquote massime delle imposte senza provvedere a una riqualificazione della spesa locale e a un aumento dell’efficienza dei servizi. Con ottomila municipalizzate, povere di utili e ricche di poltrone, è davvero difficile pensare di risparmiare o tentare delle “spending review” reali e non solo virtuali.
Nei giorni scorsi, il premier Renzi ha annunciato di voler riaprire il cantiere fiscale con l’obiettivo di tagliare le tasse per dare slancio ai consumi e rimettere in moto l’economia. La ricetta è sicuramente giusta. Ma solo ad un patto: che questa volta la pressione fiscale cali veramente e che la riduzione delle imposte non si trasformi in una semplice partita di giro fra lo Stato centrale e le amministrazioni periferiche. Sarebbe l’ennesima beffa per i contribuenti, questa volta davvero insostenibile.