Antonio Troise

Al terzo posto per capitalizzazione in Borsa, al settimo per profitti operativi netti. Insomma, se il blitz di Intesa San Paolo su Ubi Banca andrà in porto, nascerà un vero e proprio colosso. Un campione tricolore, verrebbe da dire. In linea con l’ordine di scuderia arrivato da Bankitalia e, soprattutto, dalla Bce, convinte sostenitrici delle aggregazioni bancarie soprattutto nei Paesi più indebitati. A cominciare, ovviamente, dall’Italia. Il ragionamento è semplice: più sono grandi e più gli istituti di credito sono in grado di reggere agli scossoni del mercato e garantire la stabilità dei rispettivi patrimoni. Solo per dare un numero, il nuovo polo dovrebbe gestire risparmi per oltre 1100 miliardi di euro, la metà del debito pubblico italiano. Senza considerare, ovviamente, le economie di scala che deriveranno dalla fusione. Tutto bene, allora? E’ giusto tifare per il maxi-polo? Ci saranno davvero vantaggi concreti per il sistema-Paese? Per la verità ci sono almeno due punti sui quali sarebbe opportuno riflettere. Prima di tutto, la fusione riguarda due banche forti, la prima e la terza nella classifica italiana del credito. Di solito, per rafforzare il sistema, via Nazionale ha sempre suggerito a banche forti di aggregarsi con quelle “deboli” per mettere al sicuro il risparmio dei correntisti. L’operazione Intesa-Ubi va oltre questo obiettivo e si pone un orizzonte molto diverso. C’è poi un’ulteriore incognita. Il nuovo colosso rivestirà nel nostro Paese un’importanza molto maggiore di quella che avevano i due gruppi separatamente. Senza contare il forte legame con il territorio della bresciana Ubi-Banca. Azionisti con radici ben salde nella realtà locale e, quindi, in grado di resistere ad attacchi indesiderati. Con la fusione, ci sarà anche una polverizzazione degli assetti azionari e la stabilità della banca riposerà sempre di più sulla capacità di gestione dei manager e sul feeling con i grandi investitori istituzionali. Tutto bene. Ma davvero questo sarà sufficiente a salvaguardare gli interessi strategici del Paese? E, ancora, che fine farà il presidio territoriale finora assicurato da Ubi-Banca? Temi, sui quali, sarebbe opportuno un supplemento di riflessione, prima di lasciarsi andare ai facili entusiasmi. Certo, la creazione di un polo bancario così imponente finirà sicuramente per avere un effetto imitativo nel settore e contribuire a quel consolidamento del sistema fondamentale per assicurare sicurezza e stabilità ai nostri risparmi. Ma forse, occorrerebbe anche chiedersi quali saranno le prossime mosse del nuovo colosso sul fronte del credito alle imprese e alle famiglie. E se, con la perdita dei centri decisionali, città importanti dal punto di vista produttivo, non rischiano di perdere colpi sul fronte dell’economia reale.