Alzi la mano chi ha capito qualcosa sulla Tasi. O, ai di là delle sigle, sulle nuove tasse che graveranno sugli immobili. Il governo assicura che non rimpiangeremo la vecchia Imu. Ma non tutti sono così sicuri. Il nuovo sistema contiene troppe variabili per poter avere un quadro preciso. E, una parte importante delle incognite da sciogliere è nelle mani dei Comuni, che hanno a disposizione un margine piuttosto ampio per poter decidere sulle aliquote. E’ vero che gran parte delle maggiorazioni dovrebbe tornare ai contribuenti più bisognosi sotto la forma di detrazioni. Ma il meccanismo, messo in questi termini, è piuttosto articolato e fumoso. Senza contare che le imposte sugli immobili rappresentano un tassello fondamentale per coprire le spese delle amministrazioni locali e, quindi, da questo punto di vista, non possono essere ridotte senza pesanti conseguenze sui servizi erogati ai cittadini.
Al di là delle polemiche e degli scontri politici, un dato è certo: il nuovo sistema di imposizione sugli immobili è nato male e, sicuramente, non ha brillato per trasparenza e semplicità. Non siamo, certo, al “fisco lunare” denunciato da Amato negli anni Ottanta. Ma poco ci manca se gli italiani non sanno ancora bene quanto peserà sui rispettivi bilanci la voce fisco e per quanti mesi dovranno lavorare solo per fare fronte alle richieste dello Stato: nel 2013 il cosiddetto free tax day, il giorno in cui i contribuenti non lavorano più per pagare le tasse ma per se stessi, è stato a metà giugno. Per il 2014, chissà: si navigherà a vista.
Un vecchio principio del liberalismo, quanto mai attuale oggi, recitava: no taxation without representation, fissando proprio nel sistema fiscale l’architrave delle democrazie occidentali. Un motto che, almeno in Italia, non ha mai attecchito. E’ vero che, nei programmi dell’esecutivo e nelle dichiarazioni di principio dei leader politici, tutti sono d’accordo nell’imboccare la strada del federalismo fiscale, dando quindi ai cittadini la possibilità di controllare dove finiscono i soldi delle tasse e, soprattutto, in che maniera sono spesi. Un meccanismo che avrebbe finito per premiare le amministrazioni virtuose e bocciare (con lo strumento delle elezioni) quelle inefficienti. Mai, come in questo caso, la distanza fra il dire e il fare è stata così ampia. Se a questo aggiungiamo che la pressione fiscale è arrivata a livelli record e che la crisi ha ridotto al minimo risparmi e consumi, il quadro diventa davvero incendiario.
Forse, prima ancora di promettere tagli di tasse, sarebbe opportuno impegnarsi in un vero e proprio progetto di semplificazione del sistema fiscale, facendo capire subito non solo quanto pagheremo all’erario ma anche dove finiranno i nostri soldi. Sembra quasi una banalità. Ma oggi, con il sistema attuale, non sappiamo né l’una né l’altra cosa.
Antonio Troise