Antonio Troise

C’è qualcosa di surreale nel duello sul Mes, il cosiddetto “Fondo Salva-Stati”. Forse anche perché su una materia così complessa, è davvero difficile per l’opinione pubblica orientarsi fra una marea di tecnicismi e sigle finanziarie. Allora, forse, vale la pena cercare di capire almeno il motivo del contendere e, soprattutto, gli effetti che la riforma potrebbe avere sul nostro Paese. Tanto per cominciare, le nuove regole non dovrebbero riguardarci più di tanto: il nostro Paese, come ha ribadito anche ieri il governatore della Banca d’Italia, Ignazio Visco, è solido, il suo debito è sostenibile, non faremo mai la fine della Grecia o del Portogallo. E, allora, perché tanto accanimento? Soprattutto per un motivo: la riforma prevede che i Paesi in difficoltà possano accedere al fondo solo a determinate condizioni, studiate ad hoc per garantire che i soldi dati in prestito siano, prima o poi, restituiti. Per centrare questo obiettivo potrebbero anche essere costrette a “ristrutturare” il debito. Parola che, in soldoni, significa che chi oggi ha sottoscritto titoli pubblici del paese in default, potrebbe vedersi ridotto il valore del capitale o allungare le scadenze per la restituzione dei capitali investiti. Si tratta, insomma, di un rischio “presunto” e non “effettivo”. La preoccupazione è che questo meccanismo possa, in qualche maniera, ripercuotersi anche sui titoli dei Paesi più indebitati, facendo crescere lo spread. Se a tutto questo aggiungiamo che 400 miliardi del nostro debito pubblico sono nella pancia delle banche, i timori sono più che leciti.

Proprio per questo, accanto al nuovo Mes, l’Ue ha messo in campo altri due interventi: l’Unione Bancaria, che dovrebbe dare una garanzia europea sui risparmi dei correntisti (almeno fino a 100mila euro) e la riforma del bilancio comunitario. Fa molto bene il governo italiano a insistere sul “pacchetto” di iniziative chiedendo all’Europa di approvare tutti i tasselli del nuovo puzzle finanziario. Ma ci sono due cose che bisogna sapere. La prima è che il testo del Mes è definitivo, è stato messo a punto dopo un lungo iter che ha coinvolto tutti i partner europei e non è affatto vero che il governo lo ha “licenziato” all’insaputa di tutti: la riforma era ben nota ai partiti dell’ex maggioranza giallo-verde, Lega e M5S. La seconda cosa da non sottovalutare è che il Mes rappresenta un paracadute preventivo in grado di affrontare per tempo le eventuali crisi finanziarie. Un modo per stabilizzare i mercati e difenderli dalle tempeste della speculazione. L’unico errore che, invece, bisogna evitare è di utilizzare un tema così delicato dal punto di vista finanziario per l’immancabile contesa politico-elettorale. Almeno sui risparmi degli italiani sarebbe d’obbligo la serietà da parte di tutti. Evitando il solito teatrino delle polemiche e delle fake news.