Il premier Enrico Letta lo aveva detto fin dal primo momento: la manovra economica del governo non è affatto blindata. Anzi, l’esecutivo, è aperto ad ogni modifica parlamentare. Un modo per accelerare la navigazione della legge fra Montecitorio e Palazzo Madama e portare a casa un risultato importante dal punto di vista della tenuta dei conti pubblici. Del resto, secondo gli ultimi calcoli, la manovra comporterà una stangata pari a 1,4 miliardi sulle spalle dei cittadini. Prima ancora dei partiti, ad impallinare la legge di stabilità, sono stati enti e istituzioni molto lontani dalla politica. A cominciare dalla Banca d’Italia: un fuoco amico dal momento che l’attuale ministro dell’Economia, Fabrizio Saccomanni, prima ancora di arrivare in via Venti Settembre, si trovava a pochi centinaia di metri, sulla poltrona di numero due dell’istituto di Via Nazionale. E’ vero che giovedì pomeriggio il responsabile del dicastero dell’Economia, conversando con i giornalisti al termine dell’ennesimo vertice a Palazzo Chigi sui ritocchi alla legge di Stabilità, ha ridimensionato le critiche, parlando di rilievi “marginali”. Ma, in realtà, pezzo dopo pezzo, quasi tutta la struttura portante della manovra è stata smontata. A cominciare dal capitolo più rilevante, quello delle tasse sulla casa. La nuova Tasi, infatti, rischia di far rimpiangere l’odiata Imu introdotta da Monti perché, a conti fatti, potrebbe rilevarsi un pessimo affare per i proprietari di immobili. Per la Banca d’Italia, crea ulteriori diseguaglianze. Mentre, la Corte dei Conti, parla esplicitamente di un aumento dei costi. Di qui la decisione di correre ai ripari, reintroducendo il meccanismo delle detrazioni. Stessa musica, con toni addirittura più pesanti, per il taglio del cuneo fiscale, la differenza fra quello che entra nelle tasche dei lavoratori e il costo a carico delle imprese. Il vantaggio medio, circa 10 euro al mese, è stato unanimemente considerato irrisorio. Ma, nella sua attuale formulazione, rischia di favorire soprattutto i redditi più alti. Di qui la decisione dell’esecutivo di concentrare lo sconto sui redditi fino a 25mila euro, che dimezzerebbe la platea dei lavoratori coinvolti, portandola da 16 a 8 milioni. C’è poi il capitolo delle pensione, dove i nuovi criteri di adeguamento degli assegni all’inflazione rischiano di essere molto penalizzanti. Infine, gli statali, con il blocco del turn over e le forti riduzioni degli straordinari: due ingredienti indigesti per i sindacati. Insomma, un quadro a tinte fosche, che unito alle fibrillazioni della maggioranza sul caso Berlusconi, rischia di compromettere la navigazione della manovra. Così anche il mite Saccomanni ha aperto qualche spiraglio sulle modifiche, facendo però capire che più di una certa soglia proprio non si può andare. Con un debito pubblico che costa, ogni anno, 90 miliardi di interesse, anche una piccola variazione dello spread potrebbe far saltare i conti. Senza considerare che la ripresa economica, se arriverà, sarà più debole del previsto. “La barra del timone deve continuare ad essere orientata sulla rotta del rigore”, ha fatto sapere Saccomanni. Facendo capire che i 4 miliardi che servirebbero per aggiustare la manovra e incassare nuovi consensi, per ora non ci sono. Il problema, insomma, è tutto sulle coperture. Le privatizzazioni, se partiranno, non sono in grado di dare gettito. Così come i proventi della lotta all’evasione fiscale: sulla carta possono essere notevoli ma sono inutilizzabili dal punto di vista delle regole contabili dell’Ue. Anche dalla spending review, avviata da mister forbici, Carlo Cottarelli, non andrà oltre i 500 milioni nel 2014 per poi raggiungere una cifra fra i 3 e i 4 miliardi nei due anni successivi. Soldi che saranno tutti utilizzati per ridurre la pressione fiscale. Ma che, nel confronto in atto sulla manovra economica, non possono essere presi in considerazione. Insomma, per il momento, l’unica strada per aumentare il bonus ai dipendenti ed evitare una nuova stangata sulla casa sembrerebbe quella di spostare una quota del prelievo fiscale dal lavoro alle rendite. Una partita di giro che ha solo il merito di spostare nel tempo il vero nodo del Paese: quello delle riforme strutturali in grado di ridurre gli sprechi, tagliare la spesa improduttiva spostando tutte le risorse a disposizione sul fronte della ripresa economica.
Antonio Troise
fonte: L’arena.It