Nell’Unione Sovietica o perlomeno in tutti gli Stati a regime comunista era proibito fare domande, forse sta capitando anche oggi che siamo in piena democrazia. Da qualche tempo Mario Giordano nella trasmissione “Fuori dal coro”, pone tante domande, spesso imbarazzanti e inquietanti. Sulla pandemia in corso, sono mesi che con insistenza fa domande a chi dovrebbe governarla dal punto di vista sanitario e politico. Quasi mai ottiene risposte, anzi viene redarguito e possibilmente denunciato. Recentemente le domande si spostano sul nuovo governo Draghi che dovrebbe nascere.
Ma a porre domande non c’è solo Giordano, l’altra sera ha provato a farne anche Giorgia Meloni, il capo indiscusso di Fratelli d’Italia. Alle domande dell’intervistatrice, spesso rispondeva con altrettante domande o quesiti.
Attenzione non voglio entrare nel merito della scelta politica della Meloni o di Salvini di partecipare o meno al nuovo governo, e neanche giudicare il presidente del Consiglio incaricato Draghi.
Tuttavia tra i quesiti posti da Meloni c’è quello fondamentale delle elezioni. Perchè agli italiani è stato impedito di votare, visto che in tutto il mondo anche durante la pandemia si è votato? L’altro quesito posto dall’esponente di Fratelli d’Italia e che nessuno ha posto. E’ quello della legittimità di un’opposizione, visto che siamo in democrazia. E’ nei regimi totalitari che non esiste l’opposizione, rilevava la Meloni. Per certi versi è veramente paradossale che la difesa dei diritti della democrazia, venga da un’esponente politico postfascista.
Comunque ci sono altre interessanti domande che tra l’altro mettono in discussione anche il sistema stesso della democrazia. Sono state poste in un editoriale de Lanuovabq.it, da Andrea Zambrano. «Dicono che dovrà essere il governo dei migliori. Ma chi decide che un ministro è migliore rispetto a un altro? Draghi? È senza dubbio il migliore, ci viene ripetuto a ogni spron battuto e l’aggettivo viene propagandato con goffi paragoni, tra Ronaldo e i fuoriclasse. Ma basta un curriculum di tutto rispetto per definire un uomo che non si è mai misurato con le elezioni per essere definito il migliore?»(A. Zambrano, “Migliori al governo? È oligarchia. Anche se funzionasse”, 8.2.21, lanuovabq.it)
Per il giornalista non sappiamo quali sono le idee di Italia che ha Draghi, anche perchè è stato un incarico al buio, «senza un confronto democratico tra partiti, senza annunci né coinvolgimenti dell’opinione pubblica. È stato Draghi e basta. Sarà Draghi con i ministri scelti da lui a cui i partiti dovranno soltanto dire sì».
Certamente sarà un governo migliore di quei “scappati di casa” dei Cinque Stelle. Tuttavia pare che si stia formando una specie di oligarchia, un governo dei migliori. «E quando i migliori sono al governo, intesi come una ristretta cerchia di decisori e detentori del potere che in fondo non devono riferire in prima battuta al popolo, ma al loro mallevadore che li ha chiamati lì, non è detto che le cose siano davvero migliori».
Zambrano pone un interessante riferimento alla Storia di Atene, unica democrazia del mondo antico, che ha subito il suo momento peggiore, proprio quando salirono al potere «i 30 oligarchi filospartani, capitanati dall’aristocratico Crizia, guarda un po’ il migliore, che instaurarono un vero e proprio regime di terrore, monopolizzando il potere e facendo giustiziare gli avversari».
A questo punto anche l’editoriale de laNuovabq rileva la crisi del sistema democratico imperfetto. E’ evidente che non è un bel vedere Draghi il super commissario confrontarsi ora con le «lavandaie e i bibitari, definizione di disprezzo verso una classe politica inadeguata e un po’ cialtrona […]», anche se questi signori sono lì perchè votati dagli italiani. Invece Draghi e i migliori non sono stati votati da nessuno. E questo è un problema del nostro sistema democratico. Altro fattore che crea problema è che la maggior parte dei futuri ministri «dovranno provenire dalla cosiddetta area tecnica, ecco che il governo oligarchico che si delinea è quello della oligarchia del deep state. In pole position per l’esecutivo ci sono funzionari di banche e dirigenti ministeriali».
Ma a questo punto sorge spontanea la domanda. «Chi decide che i ministri sono i migliori? Il censo? Il reddito? No, la competenza. In un Paese dove anche alle maestre ignoranti come capre viene garantito lo stesso stipendio di quelle con due lauree, la competenza diventa un mito, un’utopia».
Se non sono le elezioni. Chi decide la competenza di un ministro, che magari prima era un oscuro funzionario della burocrazia statale. Chi deve occupare lo scranno più alto del ministero dell’economia o piuttosto dell’agricoltura?
«In nome e per conto di chi l’oligarchia che si sta delineando, un’oligarchia aristocratica dove pochi, anzi pochissimi decidono chi sono i migliori, oggi possa decidere che quello che ci avviamo a vivere sia il governo migliore, l’unico e il più necessario?»
Ovviamente la risposta non c’è. Forse lo hanno capito tutti, «perché questo è uno specchietto per le allodole per convincere la gente che non si può proprio andare a votare. Ma allora non parliamo più di democrazia e sospendiamo per un attimo il comma della Costituzionale per cui la sovranità appartiene al popolo. La sovranità appartiene ora ai migliori, che la esercitano nelle forme e nei limiti di un’oligarchia aristocratica non per censo, né per reddito, ma per meriti ignoti».
Concludo, questo sistema oligarchico, dittatoriale, può funzionare. Anche se preoccupa la deriva tecnocratico-dirigistica. Sono in tanti ormai a incensare l’iniziativa di Mario Draghi. Dalla stampa alla politica sono in tanti a fare la gara a salire sul carro del super professore della BCE. Piaccia o meno, rimane solo la soluzione Draghi. Ormai si va verso questa soluzione. Per certi versi è un sollievo: è stata evitata all’Italia la sciagura del governo Conte-ter e sancita la fine della funesta liaison giallo-rossa, il punto più basso della storia repubblicana.
Perfino padre Livio Fanzaga, questa mattina a Radio Maria, parlava che anche nell’antica Roma, ogni tanto, per difendere i confini, chiamavano un dittatore per sei mesi. E faceva l’esempio di Cincinnato. Ma questo duemila anni fa. Tuttavia per Zambrano anche questa volta per la nostra Italia, abbiamo la prova che la democrazia è un ferro vecchio. Bello, ma inutile.
DOMENICO BONVEGNA
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