Antonio Troise
E’ sicuramente un bene che si parli della famiglia, istituzione cardine della nostra società, crocevia di contraddizioni e di forti cambiamenti. Ma è sicuramente un male che se ne parli al di fuori di quei confini dettati dal rispetto reciproco e dalla normale dialettica fra posizione contrapposte. Ed è un grave errore lasciare, un tema così delicato, nelle mani degli opposti estremismi, anche al di là dei colori politici che possono ispirarli.
C’è un aspetto, però, che il Congresso mondiale della famiglia ha fino ad ora messo in sordina. Subissato dalle polemiche, molto dure, che hanno avuto come bersaglio i temi etici. E ignorando, ad esempio, che l’Italia da due trimestri a questa parte, ha smesso di crescere. Siamo in recessione. E poco importa se sia “tecnica” o meno. La verità è che l’apparato produttivo ha rallentato il suo ritmo, gli imprenditori hanno frenato gli investimenti, le banche hanno ristretto il credito e, sul fronte del mercato del lavoro, assistiamo al ritorno dei contratti precari. Ma c’è di più: se confrontata con la crisi del 2008 la situazione è addirittura più grave. Undici anni fa il Paese reale ha potuto reggere il colpo anche perchè le famiglie erano solide ed hanno funzionato egregiamente come ammortizzatori sociali. Ora, però, le risorse si sono esaurite, il Paese è mediamente più povero e il tessuto produttivo ha perso per strada il 25% delle sue capacità. Rispetto a questo scenario, insomma, forse varrebbe davvero la pena proporre un supplemento di dibattito al congresso di Verona. Fosse anche per chiedersi, semplicemente, se l’attuale sistema economico sia davvero in grado di sostenere quelle famiglie, troppe, che ancora non arrivano a fine mese e che non possono continuare a reggersi solo sulla logica dei sussidi.
Provate a chiedere un mutuo per l’acquisto di una casa portando, in banca, soltanto la dichiarazione Isee e l’assegno mensile del reddito di cittadinanza. Troppo poco perfino per ottenere un prestito a un mese. Figuriamoci a vent’anni. Se davvero si vuole dare una prospettiva ai giovani l’unica risposta concreta è quella della crescita, dello sviluppo, del rilancio degli investimenti e della creazione di posti di lavoro veri e non frutto di decreti o misure assistenziali. Probabilmente, per salvare l’azienda-famiglia si deve partire anche dai temi dell’economia e non solo da quelli, pur importanti, dell’etica. Forse si tratta semplicemente, di due facce della stessa medaglia.