Per farsi dei nemici non è necessario dichiarare guerra. È sufficiente dire ciò che si pensa”. (Martin Luther King)

Ho letto una notizia che ha dello sconvolgente! Oltre ad averla letta, in una foto di gruppo, facevano bella mostra di sé i protagonisti dell’evento, politici cilentani insieme a dei tecnici esterofili, ingegneri ed architetti, di una cooperativa emiliana di Reggio Emilia, a cui è stato affidato l’incarico di progettare lo sviluppo (o presunto tale, da farlo diventare sviluppo, con la bacchetta magica), per alcune aree interne del Cilento; tanto, al fine di promuoverne la valorizzazione e quindi lo sviluppo socio-antropico ed economico-territoriale.

Il patto di sviluppo, ottima cosa in sé, è stato siglato tra i Comuni di Gioi, Orria, Salento, Moio della Civitella e Perito ed i tecnici di una cooperativa di progettazione emiliana. Con il protagonismo tecnico-professionale emiliano di soli architetti ed ingegneri, i magnifici cinque primi cittadini del Cilento, terra dei saperi, sognando ad occhi aperti, pensano di avere fantasticamente trovato la soluzione giusta per risolvere, sui loro territori, gli assolutamente gravi ed incancreniti problemi di un non-sviluppo di lungo corso, dovuto prima di tutto, ad una consolidata condizione di diffuso sottosviluppo umano.

Riconoscendo, come già detto in premessa, l’utilità del patto territoriale per lo sviluppo ne vedo, purtroppo, i limiti realizzativi a partire dai suoi stessi limiti territoriali; cinque piccoli Comuni del Cilento interno, demograficamente in grave sofferenza umana ed ormai in altrettanta grave e diffusa sofferenza dovuta ad una dismissione che ha privato gran parte dei territori cilentani anche dell’ossigeno assolutamente necessario alla sopravvivenza, proprio non hanno e tanto meno possono avere in sé, un’autonoma capacità di promuovere il territorio e con il territorio lo sviluppo socio-antropico di chi lo abita.

Chi studierà, proiettandole nel futuro, le risorse umane di cui possono disporre i territori? Non si tratta forse di territori a crescente rischio di desertificazione umana, di una popolazione residenziale dalle sempre più ridotte condizioni di vivibilità territoriale (degrado, dissesto, viabilità impraticabile, strutture educative e formative del tutto assenti, servizi sociali e sanitari alla persona, sempre più negati, se non del tutto cancellati ed altro, altro ancora)?

Tanto, da fare ben capire, se proprio ce ne fosse di bisogno, che si tratta di territori senza futuro; di territori dal futuro negato.

Si legge nel commento di Infocilento, a firma di Elena Matarazzo che l’obiettivo è quello di puntare concretamente allo sviluppo di alcune aree montane.

Un obiettivo lodevole; un obiettivo, così come pensato, purtroppo, difficilmente raggiungibile dal gruppo dei magnifici tecnici emiliani prestati professionalmente al Cilento, al fine di mettere in piedi, nella parmenidea terra cilentana dell’Essere, un laboratorio territoriale di sviluppo umano e territoriale; un laboratorio che, dovrebbe dare i suoi buoni frutti, in aree di innervazione del progetto fortemente marginali, parte di un circoscritto territorio montano dell’alta collina cilentana.

Tutto questo, in un particolare momento italiano; un momento diffusamente caratterizzato da “dismissioni” e “delocalizzazioni” di tante difficili realtà italiane, per effetto di un potere dominante caratterizzato da cecità diffusa; chiudendo, chiudendo, delocalizzando, delocalizzando, si va ciecamente preparando l’inevitabile default italiano.

Il default di un Paese ammalato di un presente che proprio non crede più al futuro possibile; di un Paese che si rifiuta di credere e sempre più, al futuro possibile. Il clima delle “dismissioni italiane” dei nostri giorni, è veramente grave; è grave e preoccupante in Italia, dal Nord al Sud.

Tanto, con una grave sofferenza italiana ed una sempre più negata prospettiva di un possibile futuro italiano.

Mentre nel Paese si respira questo sofferto clima di crisi disumanamente triste e senza ritorno, i coraggiosi cinque Sindaci delle abbandonate aree montane del Cilento collinare, pensano che la buona scienza emiliana possa finalmente trovare le soluzioni sagge e giuste per uno sviluppo dei loro territori, da sempre negato con, tra l’altro, gravi sofferenze antropiche in un mondo locale, purtroppo da sempre marginalizzato e negato allo sviluppo.

Si pensa miracolisticamente che lo studio di fattibilità del gruppo tecnico emiliano avrà, come auspicato risultato finale, miracolistiche nuove opportunità di lavoro e di sviluppo.

Mi chiedo e chiedo, quali le miracolistiche condizioni possibili? Quali le ipotesi di un nuovo possibile, in mondi purtroppo vecchi e da sempre negati allo sviluppo?

Perplessità vengono anche e soprattutto dal fatto che si tratta di uno studio progettuale territorialmente limitato e tra l’altro scollegato dal più ampio contesto del Cilento area Parco, che non si è assolutamente risparmiato in tantissimi studi, progetti e libri dei sogni, senza alcuna attuazione possibile.

Per cambiare e sviluppare il Cilento, occorre un Progetto Cilento calato sull’intero territorio Parco; un progetto che potrebbe dare i suoi buoni frutti se capace di considerare e di comprendere tutte le risorse di cui dispongono i territori velini del Parco; risorse, prima di tutto, umane, ambientali, territoriali, culturali ed enogastronomiche, da mettere in rete e progettarle unitariamente, considerandone le prospettive possibili, in base a tutto quanto deve agire ed interagire con l’intero Parco Cilento che va pensato, partendo prima di tutto, dalle risorse umane di cui dispongono i territori e che sono assolutamente strategiche per ogni ipotesi di sviluppo territoriale.

È veramente saggio per tutti e da parte di tutti, partire da qui!

Il Parco con le sue sofferenze umanamente infinite, per non morire e/o non continuare ad essere solo Parco di carta, inutile se non dannoso per le popolazioni che in tante sue parti rischiano l’estinzione, deve intelligentemente rimboccarsi le maniche e lavorare su di un Progetto Cilento che, attraverso la risorsa verde e la saggia conservazione delle sue tante diversità, può fare rinascere la speranza di un nuovo Cilento; di un Cilento, del possibile; di un Cilento concretamente vivibile e capace di attrarre anche le risorse umane dei tanti giovani cervelli cilentani, fuggiti dalle terre dei padri, per non morire di un Cilento, maledettamente sedotto ed abbandonato.

Tanto, occorre al Cilento per quelle certezze necessarie ad affrontare le grandi sfide del “millennio globalizzato” che dovrà saper segnare con forza un nuovo cammino umano sulla Terra; tanto, nel rispetto dei territori e di chi li abita, con la piena consapevolezza che, proprio non si può sbagliare, per evitare il disumano danno di una catastrofe umanitaria locale e globale dalle proporzioni inimmaginabili.

È tempo di responsabilità condivise ovunque e comunque. Non c’è più da pensare che siano gli altri a risolvere i problemi della tua vita.

Devi essere tu cittadino attivo del territorio, a far funzionare, partecipando alle decisioni, il sistema umano, sociale, educativo, formativo, culturale ed economico che ti serve e serve all’insieme per vivere una vita normale anche là dove si è nati.

Le incertezze, le tante confuse indeterminatezze e le poche sagge decisioni sono un danno per tutti. Tanto, anche in un mondo di marginalità umana e sociale che si vuole fare passare come il frutto di una violenta maledizione soprannaturale, pur avendo in sé origini unicamente umane di un fare in solitudine e scollegato dai contesti che, da sempre abbandonati a se stessi si autoescludono e così facendo si autocancellano al futuro possibile, ma di fatto dannatamente negato.

Non si può continuare così! Non si possono pensare e fare le cose che per fare tutto e subito, di fatto non servono a niente; di fatto, non producono niente per cambiare concretamente.

Siamo ormai ad un bivio. Bisogna osare intelligentemente insieme e presto. Bisogna osare in un unicuum umano e territoriale che, per il Cilento, si chiama Parco Nazionale, un organismo che per lavorare per il rispetto e la conservazione ambientale, prima di tutto, deve saper lavorare per l’uomo del Parco, una risorsa assolutamente insostituibile per il futuro; una risorsa che va conservata, perché è qui nella Terra Velina che sono le radici dell’Essere parmenideo; un grande patrimonio di saperi, assolutamente necessario per cambiare il mondo, fortemente appiattito su di una visione avere-apparire gravemente rovinosa per il mondo.

Svegliati Cilento! Svegliati Parco! Svegliatevi cilentani, cittadini del mondo! Se continuate ad affidarvi al solo miracolismo delle scelte altrui, il vostro destino non cambierà di una virgola.

Resterete i cilentani familisti di sempre e dal futuro assolutamente negato con una crescente fuga anche delle poche braccia e dei preziosi cervelli, costretti ad abbandonare per non morire, le Terre dei padri, in una condizione di inarrestabile desertificazione.

Giuseppe Lembo