Se si vuole capire qualcosa di più di come vanno le cose nel Pd, non c’è specialista più esperto di Antonio Napoli. Consulente d’impresa e opinionista, è stato dirigente del Pci-Pds e le dinamiche interne al partito democratico gli sono particolarmente familiari. Diciamo che il partito del Nazareno lo conosce un po’ come le tasche. Al punto da potersi permettere, sulle colonne del Sussidiario.net per cui scrive regolarmente, una metafora piuttosto ardita. Frank Underwood vs Tom Kirkman per parafrasare la singolar tenzone di Renzi contro Zingaretti. “Un contrasto incolmabile – aggiunge Napoli – ormai alle battute finali. Una storia che inquieta e sta spingendo di nuovo alla divisione la sinistra italiana…”. Il Sudonline lo ha intervistato.
Underwood sta a Renzi come Kirkman a Zingaretti. Questa è la sua tesi. Ce la vuole spiegare?
Frank Underwood e Tom Kirkman a mio avviso ben rappresentano lo scontro in atto tra gli ultimi due segretari eletti del Pd. Sono due presidenti degli Stati Uniti protagonisti di due distinte serie tv – House of Cards e Designated Survivor – che interpretano la politica in modo diametralmente opposto.
La prima serie ha goduto di uno straordinario successo, almeno fino a quando l’attore protagonista Kevin Spacey non è stato improvvisamente estromesso dal cast per una storia di violenze su minori, da cui infine è stato totalmente scagionato. Giusto?
E già. È la storia di un politico spietato, assecondato da una moglie spietata almeno quanto lui, che senza badare a regole e al rispetto della legge (commissiona anche un paio di omicidi), elimina tutti coloro che si frappongono all’obiettivo di conquistare la presidenza degli Stati Uniti. Risultato che ottiene grazie ad intrighi e senza passare per il voto popolare.
E poi cos’altro accade?
Underwood affronterà le elezioni da presidente, ma anche in quel caso – neanche a dirlo – vince imbrogliando. Alla sua morte gli subentra la moglie, che nel frattempo aveva tramato per conto suo e si era fatta nominare vice-presidente.
Una vicenda che simboleggia molto bene la tentazione, sempre presente tra le élite di casa nostra, ad apprezzare l’astuzia e il cinismo senza freni, manifestando una dubbia moralità.
Beh, per anni non si è fatto altro che commentare – in ogni “salotto buono” degno di questo nome – le avventure borderline della coppia presidenziale. La visione di House of Cards era considerata alla stregua di uno “stage” in comunicazione politica.
Ben altra sorte è toccata all’altra serie tv, Designated Survivor…
Infatti qui si racconta di uno sconosciuto segretario alla politica per la casa che, sul punto di essere fatto fuori dal suo secondario incarico governativo, diventa presidente degli Stati Uniti. Piano piano, aiutato da una famiglia normale che gli crea solo qualche piccolo problema, Tom Kirkman supera gli ostacoli che incontra sul suo cammino, grazie all’aiuto di una piccola squadra di collaboratori fedeli ed un paio di bravi poliziotti.
Insomma il ritratto totalmente opposto del leader che adotta l’astuzia e il cinismo…
La sua arma vincente in effetti è una sola: dire sempre la verità. E rifiutarsi sempre di nascondere una informazione, anche quando questo è in conflitto con gli interessi della sicurezza. Nonostante l’evidente inesperienza riesce ad affrontare con calma le crisi più difficili, mettendo sempre al primo posto la tutela delle persone, rispetto ad altri interessi a cominciare da quelli militari ed economici. Così Kirkman diventa ben presto un presidente amato.
Paragonare Renzi a Frank Undetwood significa in sostanza alludere al fatto che egli sia un bugiardo o anche peggio, non crede?
Ma no, non voglio dire questo, né che si sia macchiato di chissà quali gravi responsabilità. Resta il fatto che sicuramente Renzi è percepito come una persona poco trasparente, che ha tramato per raggiungere i suoi obiettivi e che cambia troppo spesso e con disinvoltura le sue posizioni.
Tutti gli riconoscono l’abilità in materia di comunicazione…
Sì, ma anche la strumentalità che talora è alla base della scelta dei tempi e degli argomenti. Diciamo le cose come stanno: il Paese non si fida più di lui e ogni sua azione trova solo il sostegno convinto di uno sparuto nucleo di fan che lo spingono su posizioni sempre più ostili verso il resto del Pd.
Di continuo i retroscenisti parlano della sua intenzione di fondare un partito personale…
Osservo invece che il giovane ex premier sa benissimo che le cose stanno così, e per questo evita lo scontro diretto e la rottura frontale. Immagino che sarà molto difficile vederlo nei prossimi mesi alla prova con un suo partito personale, di cui sa bene non esserci le condizioni.
Veniamo a Zingaretti.
Ha conquistato la segreteria sulla base di due obiettivi molto semplici: togliere a Renzi il dominio assoluto sul Pd e riportare unità nel partito, ricostruendo un clima di collaborazione tra tutte le altre componenti. Anche con quelle che nel frattempo si erano allontanate.
E c’è riuscito a suo parere?
Fino ad oggi certamente sì, tenendo ferma la barra nel rifiutare la polemica fine a se stessa, in particolare durante la campagna per le europee, evitando tutti le occasioni offerte per riaccendere la rissa interna.
Un prudente temporeggiatore…
Prudenza che certo non gli ha impedito di mettere mano a qualche situazione difficile, come in Sicilia, dove un congresso illegittimo aveva nominato segretario Davide Faraone, renziano tra i più aggressivi, che ovviamente per protesta si è subito autosospeso dal partito.
Faraone ha in un certo modo seguito le orme di Luca Lotti, protagonista dello scandalo che ha colpito pesantemente l’organo di governo della magistratura…
E che ha ulteriormente rafforzato l’opinione che il “giglio magico” qualche lezioncina da Underwood l’aveva imparata a dovere.
Che cosa accadrà a partire dalla ripresa di settembre? Tra finanziaria e battaglia per l’autonomia differenziata, sarà un bel vedere.
Zingaretti ha ora davanti a sé il bivio delle elezioni anticipate. Non tutto dipende da lui, ovvio. Ma sempre di più dipenderà da lui e dalle sue decisioni se Matteo Salvini si convincerà che una crisi dell’attuale governo non ha reali alternative in parlamento, rendendo inevitabile il ricorso delle urne.
La domanda cruciale è la seguente: conviene rischiare le elezioni nella fase di massimo consenso del leader della Lega o se più saggiamente aspettare le conseguenze – tradotte anche nei sondaggi – delle difficoltà in cui Salvini si dibatte da settimane, senza perdere però consenso. Come sempre in politica è il tempismo che fa la differenza, non le pare?
Il suggerimento a questo punto non può essere che quello di andarsi a vedere l’ultima puntata della prima stagione di Designated Survivor…
Che succede nella fiction?
Succede che Tom Kirkman si rivolge alle camere appena rielette e in perfetto stile americano dice: “solo il bene sconfiggerà il male, e la verità è l’unica strada che conosco per costruire il bene”. Un esplicito invito a rifuggire dalla tattica e a dire esattamente come stanno le cose. Senza temere di dire la verità. Sembra retorica, anzi, sicuramente lo è. Ma…
Ma?
Alla fine possiamo convenire che alla politica in questi anni difficili è mancata la verità. E se qualcuno ci convince che davvero sta dicendo solo la verità, stavolta quel qualcuno vince.
MVD