La crisi italiana è anche crisi culturale: i dati Eurostat hanno consegnato il loro verdetto lapidario, collocando l’Italia all’ultimo posto in Europa per spesa pubblica destinata alla cultura, la cui percentuale è inesorabilmente ferma all’1,1% a fronte della media UE del 2,2%.
Anche l’istruzione non va molto bene: il nostro Paese ha fatto meglio solo della Grecia impiegando l’8,5% della spesa pubblica per l’istruzione delle fasce più giovani a fronte del 10,9% Ue. A monte di questa situazione piuttosto imbarazzante, c’è il drastico taglio di fondi alla cultura che ha interessato l’Italia negli ultimi tre anni: secondo i dati Istat, la spesa per l’ istruzione è diminuita, passando dal 4,4% del 2010 al 4,2% nel 2011 mentre quella per la cultura si è quasi dimezzata passando dallo 0,8% del 2010 allo 0,5% del 2011. Ma come sottovalutare il rischio che questi tagli portano con sè? La cultura diventa modo di vivere e di pensare; è proprio grazie all’istruzione e la conservazione del proprio patrimonio culturale materiale e immateriale, che si riesce a comprendere il proprio valore storico, la propria funzione nella vita, i propri diritti e doveri. Alla base di una cultura, in sostanza, c’è una società e la società trova la sua essenza nella cultura che si è data.