“Il maxiprocesso ha segnato una svolta storica: sino ad allora quasi tutte le azioni di contrasto giudiziario alla mafia si erano risolte con un’assoluzione; si puo’ affermare che il bilancio del palazzo di giustizia di Palermo era fallimentare”. Giuseppe Ayala, pubblico ministero al maxiprocesso dei Palermo del 1986, ricostruisce a “Voci del mattino”, Radio 1 Rai, il clima e gli eventi di quelle febbrili giornate. “Poi, d’improvviso – aggiunge -, accaddero due fatti importanti: il primo: cambia la strategia mafiosa che comincia a eliminare fisicamente importanti esponenti delle istituzioni; Boris Giuliano, Piersanti Mattarella, il procuratore Gaetano Costa, il generale Caro Alberto Dalla Chiesa, il giudice Rocco Chinnici e potrei proseguire; nel frattempo, nel 1981 era scoppiata la cosiddetta ‘guerra di mafia’: i corleonesi, gli ideatori di questa strategia assassina, decidono di impadronirsi del vertice di ‘Cosa Nostra’, le famiglie palermitane ovviamente non erano d’accordo e questo scateno’ una violenza inaudita: a Palermo, furono 300 gli omicidi, con mafiosi che uccidevano altri mafiosi per il controllo del territorio. Questo cambiamento di strategia determino’, per la mafia, l’abbandono della politica per cosi dire ‘clandestina’, quella scelta di lavorare e tramare nell’ombra, per essere talmente visibile e violenta da inquietare e preoccupare le coscienze di tutto il Paese. Fu allora che un gruppo di giudici istruttori, capitanati da Rocco Chinnici, e poi quando questi fu ucciso, da Antonino Caponnetto, e poi ancora Falcone e Borsellino e altri, si cominciarono ad organizzare e noi della Procura facemmo altrettanto. E godemmo, in quella fase, di un notevole sostegno dal parte dello Stato. E questo e’ il dato piu’ rilevante, a mio avviso; in quel contesto criminale cosi intriso di violenza, lo Stato comprese che doveva sostenere con forza chi si opponeva a questo disegno”.