“Egregio Tesoriere del Partito Democratico, Onorevole Bonifazi, non ho risposto tempestivamente alla sua prima lettera – nella quale mi chiedeva di versare 83.250 euro al Pd in ragione della mia elezione al Senato nel 2013 – perche’ ho considerato la modalita’ attraverso la quale ha scelto di farmi giungere tale comunicazione, ossia i giornali, un colorito quanto basso espediente da campagna elettorale”. Cosi’ il presidente del Senato e leader di Liberi e Uguali, Pietro Grasso, in una lettera al quotidiano La Repubblica replica al tesoriere del Pd Francesco Bonifazi, che gli aveva chiesto 83 mila euro per saldare quote non versate negli ultimi cinque anni al gruppo del partito al Senato.
“Immagino inoltre che non sia stata casuale la scelta del 3 dicembre 2017 per darne notizia, giorno nel quale ho pubblicamente aderito a Liberi e Uguali. Il suo modo di agire appare dunque un atto di ritorsione a carattere propagandistico piuttosto che una sincera volonta’ di fare chiarezza – aggiunge Grasso -. La reiterata pubblicita’ che lei e i suoi colleghi di partito hanno dato a mezzo stampa di questa vicenda – suggerendo in maniera neanche troppo velata la mia malafede e la mia presunta morosita’ – mi costringe ad alcune precisazioni: A. Non ho mai ricevuto da voi alcuna comunicazione in merito alla quota economica mensile che avrei dovuto versare al Pd in ragione della mia elezione, ne’ le modalita’ di pagamento. Eppure dal marzo del 2013 al giorno delle mie dimissioni dal gruppo del Pd in Senato sono trascorse 56 mensilita’. Abbastanza occasioni per farlo, non crede?”.
B. Dal marzo 2013 avete approvato quattro bilanci del Pd, tutti a sua firma. Neanche in quelle occasioni ha ritenuto opportuno comunicarmi alcunche’ – dice ancora Grasso -. C. Non sembra opportuno che il presidente del Senato sostenga con soldi pubblici l’attivita’ di un partito, cosi’ come per prassi centenaria non e’ chiamato a dare col voto alcun contributo politico. Ecco perche’ ero convinto che non aver ricevuto richieste di contributi dipendesse da una visione condivisa di questo modello. Saro’ felice se vorra’ spiegarmi la ragione per cui ha cambiato opinione. D. Visto che il suo disappunto per la mia presunta morosita’ si e’ trasformato in sprezzanti dichiarazioni pubbliche, vorrei capire cosa ne pensa dei circa 250 mila euro che il Gruppo del Pd in Senato ha percepito dal marzo del 2013 al 26 ottobre del 2017 in ragione della mia iscrizione al Gruppo medesimo”.
“Non ritengo pertanto sussista alcuna delle ragioni da lei addotte nella sua infamante lettera. Aggiungo una cosa. Lasci fuori da questa orrenda strumentalizzazione i dipendenti del Pd. Sono in cassa integrazione in virtu’ di una gestione economica e finanziaria disastrosa e di un indebitamento milionario causato, in primis, dalla fallimentare campagna referendaria: a loro, cosi’ come ai giornalisti dell’Unita’, di Europa e alle loro famiglie, va tutta la mia solidarieta’ – conclude il presidente del Senato -. Questo usato da Lei e da alcuni suoi colleghi di partito e’ un modo di condurre il confronto politico che rifiuto: mi auguro che non sia questo il tono della vostra campagna elettorale. Di certo non sara’ il mio, se non costretto”.