È il 10 febbraio del 1945, mancano pochi mesi alla fine della guerra: nel campo di concentramento di Dachaumuore un giovane di 36 anni, che si aggiunge alle migliaia di vittime anonime dello sterminio nazista. Quel giovane era Giovanni Palatucci, l’ultimo questore di Fiume.
APPROFONDIMENTO
La biografia
Giovanni Palatucci nasce a Montella, in provincia di Avellino, il 31 maggio 1909, dopo una laurea in Giurisprudenza conseguita all’Università di Torino, nel 1936 decide di trasferirsi a Genova per formulare la promessa di ‘volontario Vice Commissario di Pubblica Sicurezza’.
Fin dal primo incarico, alla Questura di Genova, si rivela un funzionario ‘scomodo’ per una precisa ragione: non riesce ad accettare le ingiustizie che vede intorno a sé e in una sorta di autointervista sul ‘Corriere mercantile’ di Genova le denuncia: «Occorre un rapporto diverso tra Polizia e cittadino, occorre che i funzionari di polizia superino questo burocratismo». Questa intervista viene letta anche a Roma e qui il regime fascista, che non può sopportare alcuna critica, tanto più se mossa da un funzionario di polizia, decide di ?confinarlo? alla Questura di Fiume, dove assume l’incarico il 15 novembre 1937.
Ma da quella che doveva essere una punizione nascerà per Palatucci, nel corso delle vicende che lo vedranno coinvolto, l’opportunità di realizzare quell’umanesimo cristiano nel quale fermamente credeva.
A Fiume
A Fiume, divenuto responsabile dell’Ufficio stranieri, Palatucci si avvicina alla comunità ebraica di cui comprende fin da subito la difficile situazione: nei territori jugoslavi occupati dai nazisti e dagli ustascia croati, infuria infatti l’antisemitismo e Fiume rappresenta l’ultima via di salvezza per tutti coloro che stanno fuggendo dai Balcani.
Il 14 luglio 1938 viene inoltre pubblicato Il manifesto della razza che, tradotto in legge il 17 novembre del 1938, segna la fine della relativa tolleranza precedentemente mostrata verso gli ebrei.
Proprio nella Questura di Fiume Palatucci inizia quindi a organizzare una rete di collaboratori mirata ad aiutare gli ebrei in maggiore pericolo. Così proprio lui, che istituzionalmente avrebbe dovuto contrastare la fuga degli ebrei, inizia ad aiutarli fornedogli documentiu falsi e permettendogli di istradarsi verso la Svizzera e Israele allora sotto protettorato inglese oppure di farli partire, via mare, verso le coste del Meridione a quel tempo già liberato. Nella peggiore delle ipotesi riesce comunque a smistarli nei campi profughi italiani.
Il campo di Campagna
Disposizioni del regime fascista ordinano che gli ebrei stranieri siano internati in campi appositi e isolati, come quelli creati a San Saba, Fossoli, Bolzano, Borgo San Dalmazzo e Grosseto. Ma Palatucci riesce a mandare gli ebrei di Fiume in un campo molto particolare, a Campagna, in provincia di Salerno, nel territorio della diocesi del Vescovo Giuseppe Maria Palatucci, zio di Giovanni.
Palatucci, infatti, si rende conto che quel campo, pur con tutti i disagi dell’internamento, offre un rifugio agli ebrei assai più sicuro delle terre jugoslave e, d’intesa con suo zio, Monsignor Palatucci, mette in opera uno stratagemma per far arrivare proprio lì i profughi minacciati. Nello specifico, la strategia del giovane commissario, consiste nel presentare al Prefetto e al Questore – per evitare eventuali ostacoli – la scelta dell’internamento degli ebrei nell’Italia meridionale come un rimedio per liberarsi della presenza dei profughi, che costituiva una minaccia per la sicurezza pubblica.
Nel dicembre del 1941, in una lettera ai familiari, scrive: «I miei superiori sanno che, grazie a Dio, sono diverso da loro. Siccome lo so anche io, i rapporti sono formali, ma non cordiali. Non è a loro che chiedo soddisfazioni, ma al mio lavoro, che me ne dà molte». E ancora: «Ho la possibilità di fare un po’ di bene e i beneficiati da me sono assai riconoscenti. Nel complesso riscontro molte simpatie. Di me non ho altro di speciale da comunicare». Quel ‘po’ di bene’, compiuto in quei tempi davvero difficili, significa la salvezza di migliaia di ebrei: oltre 5.000, secondo quanto riferito dal delegato italiano Rafael Danton alla prima Conferenza ebraica mondiale tenutasi a Londra nel 1945.
L’Italia firma l’armistizio
Dopo l’8 settembre ’43 i nazisti si annettono il ‘litorale adriatico’ e la città di Fiume viene a trovarsi nella paradossale condizione di ‘alleato-occupato’ e per Palatucci le difficoltà aumentano.
Intanto gli ebrei presenti a Fiume sono circa 3.500, in gran parte profughi della Croazia e della Galizia.
Con la creazione della Repubblica Sociale e il disfacimento dell’esercito italiano, quindi, Palatucci rimane solo nella sua città a rappresentare la faccia di quell’Italia che non vuole essere complice dell’olocausto. Viene nominato reggente, ma di una questura divenuta oramai fantasma.
Palatucci in questi giorni riesce a resistere alle pressioni del console svizzero, che si trova a Trieste, il quale gli consiglia di abbandonare Fiume per rifugiarsi nella Confederazione Elvetica dove troverebbe ospitalità in casa sua. Palatucci apprezza la disponibilità dell’amico ma gli risponede che non se la sente di ?abbandonare nelle mani dei nazisti gli italiani e gli ebrei di Fiume?.
Poi distrugge il materiale relativo agli ebrei custodito negli archivi della Questura e, contestualmente, intima agli uffici comunali di non rilasciare alcun documento riguardante quei cittadini senza previa comunicazione al suo ufficio.
In questo modo il giovane commissario riesce a ‘mandare a vuoto’ le retate naziste che avrebbero destinato gli ultimi ebrei a morire nei forni crematori dei lager.
L’arresto
Ma la notte del 13 settembre 1944, su ordine del tenente colonnello delle SS Kappler, viene perquisita proprio la sua abitazione e qui i nazisti trovano la copia del piano riguardante ‘lo Stato libero e autonomo di Fiume’. Quello stesso colonnello scrive su un documento che l’arresto di Palatucci era necessario a causa dei contatti di quest’ultimo con il “nemico”.
Accusato di tradimento, Palatucci, viene inviato prima nel carcere Coroneo di Trieste e poi, il 22 ottobre 1944, nel campo di sterminio di Dachau. Sarà questo il suo ultimo viaggio: a pochi giorni dalla Liberazione, infatti, a soli 36 anni, trova la morte a causa delle sevizie e dalle privazioni, oppure, come viene affermato dagli ebrei sopravvissuti a Dachau, da una raffica di mitra.
È il 10 febbraio del 1945.
Uno dei’ giusti’
Giovanni Palatucci è stato definito ‘martire cristiano’ nonché lo Schindler italiano’: a Gerusalemme il suo nome è scritto su una targa posta ai piedi di un alberello sul ‘Viale dei Giusti’, come viene chiamata la breve salita che porta al Yad Vashem ‘il disadorno quadrato di cemento su cui una grande distesa di lastre di pietre nere copre le ceneri delle vittime dei campi di concentramento’.
Il museo Yad Vashem, fondato nel 1953, è il luogo ufficiale in Israele dedicato alla memoria delle vittime dell’olocausto. Il nome del museo significa ‘un memoriale e un nome’ e viene dal libro di Isaia (56, 5) nel quale Dio dice: «Concederò nella mia casa e dentro le mie mura un memoriale e un nome […]