Dopo quello che è successo a Parigi, che differenza passa tra un figlio che sta in trincea e un figlio che sta per le vie del centro? E fino a che punto si è disposti a mandare un figlio in trincea, pur di vedere garantito a un altro figlio di muoversi per le vie del centro? Perché ormai questo è il bivio, per tutto l’Occidente. Dunque anche per l’Italia.
Angelino Alfano lo riconosce, e sottolinea che «entrambi quei figli combattono per la libertà. Noi siamo in trincea da tempo con i nostri militari, ancora pochi giorni fa abbiamo ricordato gli eroi di Nassiriya. Però anche i ragazzi che stanno in centro difendono la nostra libertà, difendono cioè le nostre abitudini, la nostra voglia di dichiararci e vivere da Occidentali. Perché i terroristi, quando non riescono a sopraffare i regimi di governo, tentano di sopraffare i regimi di vita».
Ogni sera il ministro degli Interni va a letto e pensa: anche oggi è andata bene. Ogni mattina il ministro degli Interni si alza e pensa: sarà oggi? La percezione, infatti, non è se quanto accaduto in Francia avverrà anche in Italia, ma quando avverrà e dove. «Ogni giorno – risponde – lavoriamo perché il Paese sia sicuro, dunque libero. E continueremo a lavorare perché la risposta a quel terribile interrogativo sia “mai”. Anche se sappiamo che il “rischio zero” non esiste». Alfano non rivela quante volte l’Italia sia scampata a un attentato da quando siede al Viminale, «ma se penso all’instancabile opera di prevenzione che viene quotidianamente fatta, dico che abbiamo da ringraziare il dio in cui crediamo e gli uomini a cui affidiamo un compito delicatissimo».
«Siamo in guerra. È una guerra. Ma ogni conflitto della storia ha avuto una fine. Sia le guerre lampo che quelle decennali. Ci hanno dichiarato una guerra che non sarà breve, va avanti già dal 2001. Anche la nostra contro il terrore un giorno finirà. È una certezza. Quel che non sappiamo è quanto durerà, quali costi avrà in termini di vite urna-ne, cosa sarà delle nostre abitudini e della nostra libertà di oggi e di ieri».
Angelino Alfano ha il volto segnato, al termine di una giornata da codice rosso. L’Italia non è stata colpita ma è come se lo fosse stata, Parigi in ginocchio e Roma già indicata come prossimo obiettivo dagli stragisti del Califfato di Abu Bakr al-Baghdadi. E il I Giubileo lì, a 23 giorni. Settecento soldati, fa sapere il capo del Viminale, vengono subito schierati a protezione della Capitale.
«Ma allo stato in cui siamo, la sicurezza assoluta non esi ste, né a Roma né nel resto d’Italia». Non scatta lo stato d’emergenza francese ma è come se lo fosse, lo stato di “allerta 2” è quello che appena precede un attacco in corso. L’allerta dei capi dei servizi e di tutti i corpi di polizia è massimo. I Gis e i Noes sono già in “assetto operativo”, i corpi speciali militari pronti ad entrare in azione, tutti gli obiettivi sensibili presidiati e altri se ne aggiungono su indicazione dei prefetti, le maglie dei controlli alle frontiere tornano a farsi strettissime ma non si chiudono. Le comunicazioni nelle carceri monitorate come mai accaduto prima. È grazie alla corsa affannosa per evitare l’attentato, sottolinea il ministro, che si sono portate a segno operazioni come quella di tre giorni fa in mezzo Nord Italia