Di Antonio Troise
Non poteva scegliere giorno migliore il premier, Matteo Renzi, per annunciare il suo cambio di passo sul fronte della crescita. E per smentire, con tanto di fuoriprogramma a Palazzo Chigi, con il carrettino di gelati da offrire ai giornalisti, i gufi di turno che dipingono l’Italia come la palla al piede dell’Unione Europea. Il decreto sblocca-Italia, con il suo pacchetto di semplificazioni e una dote di 10 miliardi, arriva proprio quando l’Istat certifica un Paese in rosso fisso, per la prima volta in deflazione da oltre 50 anni, ancora in recessione e con una disoccupazione che galoppa al 12,6% bruciando mille posti al giorno.
Eppure, Renzi non si fascia la testa. Non retrocede di un centimetro dalla sua linea di politica economica. Difende a spada tratta la scelta del bonus di 80 euro al mese. Ma, soprattutto, respinge con forza la tesi di quegli industriali che vorrebbero risolvere il problema della bassa crescita riducendo i salari. Non è con le cose che fanno tutti a prezzi più bassi che l’Italia può imboccare il sentiero della crescita. Ma solo se riesce a produrre, meglio degli altri, oggetti che nessuno sa fare. Come a dire, qualità più che quantità.
Ma non basta. Perché la rotta di Renzi, il suo piano dei mille giorni che è partito simbolicamente ieri, non è per niente in collisione con l’Europa. L’Italia non va con il cappello in mano a chiedere a Bruxelles deroghe e sconti. Ma rilancia la sua proposta di scambiare quella maggiore flessibilità prevista nei trattati con l’impegno di realizzare riforme ambiziose. Non a caso, il decreto sblocca-Italia è stato accompagnato dalle misure sulla giustizia (uno dei capitoli più spinosi, negli ultimi venti anni, sul fronte della politica).
Certo, rispetto al primo Renzi, quelle delle slides e dei fuochi di artificio, il ritmo mostrato ieri dal premier è più quello del maratoneta, che vuole arrivare al traguardo passo dopo passo. Ma, al di là della velocità, quello che più conta è la capacità di far ripartire la macchina dell’azienda Italia, rilanciando gli investimenti e i consumi e rompendo la spirale perversa fatta di deflazione e disoccupazione. Per farlo non basta certo il decreto varato ieri. Come non è servito il bonus degli 80 euro. C’è bisogno sicuramente di più coraggio sul fronte delle riforme. Ma serve anche un grande patto europeo per la crescita. Sa la barca dell’euro rischia di affondare la colpa non è più della solita italietta, intenta a mangiare un gelato, ma soprattutto dell’incapacità del vecchio continente di mettere in campo una strategia concreta in grado di coniugare il rigore con la crescita, la stabilità con lo sviluppo. Da questo punto di vista, il vertice Ue del 6 ottobre, promosso proprio dall’Italia, può diventare decisivo.
Fonte: L’Arena