Più che accordo, quello per Gela, scrive Repubblica, è un armistizio per tornare al tavolo ministeriale il 15 settembre e valutare caso per caso quali delle 5 raffinerie Eni salvare, con conversioni in impianti “verdi” o in depositi. I sindacati cantano vittoria ma i lavoratori di Gela che da un mese presidiano il petrolchimico ieri non hanno rimosso i blocchi. Descalzi è pure categorico: «Un capoazienda non può buttare soldi dalla finestra investendo in un business ormai in crisi irreversibile in tutta Europa. Voglio investire in business che hanno futuro. Ci vorrà dialogo e tempo, ma ho fiducia che i lavoratori capiranno ». Il manager in sella da tre mesi ha ribadito le linee guida: «Nessun dipendente sarà licenziato, e non chiederemo ammortizzatori sociali.
Non taglieremo persone, ma costi e attività». Per l’impianto di Gela, tra i più arretrati, Eni pensa di farne una raffineria verde come Marghera, salvaguardando i 970 dipendenti (non i circa 2mila dell’indotto) anche con un centro formazione sulla sicurezza e nuove licenze esplorative. Che al momento, però, il governatore siciliano Rosario Crocetta non vuol concedere. Eni ha perso 6 miliardi nel settore dal 2009. e ieri ha detto che «la raffinazione in Europa vede un drastico calo dei margini per eccesso di capacità produttiva»