Le Regioni italiane che beneficiano dei fondi Ue di coesione potrebbero passare da sette a quattro: fuori Basilicata, Molise e Sardegna, dentro solo Sicilia, Calabria, Campania e Puglia. Ma non è il frutto di un vero progresso economico. I territori che rientrano nei fondi di coesione, infatti, sono quelli con un Pil pro capite inferiore al 75% della media Ue. Con l’ingresso di nove nuovi Paesi dell’Europa dell’Est (molto più poveri), la media Ue si abbasserà e di conseguenza alcune regioni italiane non figureranno più tra le aree “bisognose”.
In pratica, “diventiamo più ricchi” solo sulla carta: basti pensare che il Pil pro capite dei Balcani occidentali si aggira in media intorno al 35% di quello europeo.
LO STUDIO DI BRUEGEL
Il think tank Bruegel di Bruxelles ha pubblicato un report sulle possibili conseguenze di questo allargamento, evidenziando come Italia e Spagna siano i Paesi che rischiano di perdere di più dal nuovo assetto. Secondo la ricerca:
- I fondi di coesione passerebbero da 393 a 422 miliardi con l’Ue allargata a 36 membri.
- L’aumento di 61 miliardi destinati ai nuovi Paesi candidati si tradurrebbe in una riduzione di 32 miliardi per i 27 membri attuali.
- Italia e Spagna perderebbero 9 miliardi a testa sull’intero periodo, il Portogallo 4, mentre Ungheria e Romania ne cederebbero circa 2 a testa.
Nel complesso, il bilancio Ue dovrebbe crescere dagli attuali 1.211 miliardi a 1.356 miliardi di euro (dall’1,12% all’1,23% del Pil comunitario).
Contestualmente, le “spese di vicinato” si ridurrebbero di 15 miliardi (i Paesi candidati diventerebbero membri a tutti gli effetti) e aumenterebbero di 7 miliardi le spese amministrative.
LA PAC E L’INGRESSO DELL’UCRAINA
L’altra grande voce del bilancio europeo è la PAC (Politica Agricola Comune). Secondo Bruegel, mantenendo gli attuali criteri, servirebbero altri 113 miliardi per sostenere i nuovi Paesi. Ma solo l’ingresso dell’Ucraina – il più esteso Paese agricolo in Europa – potrebbe richiedere un intervento aggiuntivo di 100 miliardi (stima di un precedente studio).
- Superficie agricola in Ucraina: oltre 41 milioni di ettari (pre-invasione russa).
- Struttura del settore: 110 grandi aziende agricole verticalmente integrate che controllano gran parte delle filiere.
Organizzazioni come Coldiretti sollevano dubbi sulla tenuta del sistema attuale: l’Ucraina rischierebbe di assorbire la maggior parte dei fondi, svantaggiando gli altri Stati. Per questo propongono parametri aggiuntivi al semplice criterio estensivo di superficie, introducendo ad esempio valutazioni sul valore aggiunto e la manodopera.
CHI PAGA IL NUOVO ASSETTO?
L’allargamento è considerato da molti un passaggio fondamentale per la stabilità europea, ma pone il problema di un equilibrio tra quanto i vecchi Stati versano al bilancio comunitario e quanto ricevono.
Secondo Massimiliano Giansanti, presidente di Confagricoltura:
- L’ingresso di 9 nuovi Paesi innalzerà lo sbilanciamento dare/avere dell’Italia dallo 0,13% allo 0,33% del reddito nazionale lordo.
- Occorre un periodo di transizione per aiutare i mercati a adeguarsi e un bilancio agricolo più ampio, con più risorse reali per evitare di penalizzare la competitività delle imprese.
VERSO UNA RIFORMA DELLE POLITICHE DI COESIONE
La possibile uscita di alcune Regioni dai fondi di coesione potrebbe non essere interamente negativa, a patto di ripensare i criteri di allocazione delle risorse. Giovanni Vetritto, direttore generale della Presidenza del Consiglio, sottolinea:
- La riduzione dei fondi deve portare a un loro uso più efficace, con una distribuzione basata sulle aree realmente bisognose, non sui confini regionali.
- In Lombardia, per esempio, ci sono zone interne o montane che hanno indicatori socio-economici bassi quanto quelli del Mezzogiorno.
Anche secondo Luca Bianchi, direttore generale di Svimez, occorre puntare di più sulla “qualità della spesa” seguendo il modello del Pnrr: erogazioni dei fondi legate al raggiungimento di determinati obiettivi, e non più alla sola rendicontazione.
La sfida, in sostanza, è preparare una riforma efficace delle politiche di coesione, per evitare che le attuali aree deboli vengano ulteriormente penalizzate dalla geografia economica di un’Europa che si allarga.