Antonio Troise
Il contratto per il “cambiamento” è quasi fatto, anche se il testo sarà ancora limato nei prossimi giorni. Ventidue punti, una trentina di pagine, senza allegati e con pochissime cifre. Di fatto, un colpo alla Lega e un altro ai Cinquestelle. Per due lunghi giorni gli sherpa dei due partiti hanno sudato sette camicie, nel bunker del Pirellone, per trovare un punto di equilibrio fra i due azionisti di maggioranza del nuovo governo. Con un obiettivo comune: evitare di far pendere troppo la bilancia da un lato o dall’altro.
Chi ha vinto e chi ha perso. Sulla Flat Tax hanno sicuramente incassato qualcosa in più i penta stellati, che portano a casa un sistema con due aliquote rispetto all’imposta unica proposta dal centrodestra. In cambio, però, hanno dovuto chiudere un occhio sulla cosiddetta “Pace fiscale”, una sorta di condono modulato sulle difficoltà dei contribuenti, e sulla rottamazione delle cartelle. Ma anche sul reddito di cittadinanza, Di Maio ha dovuto alla fine cedere qualche punto con una versione graduale (entrerà in vigore dopo la riforma dei centri dell’impiego) e a tempo (durerà al massimo per due anni). Sulla vicenda Ilva, invece, hanno sicuramente vinto ai punti i leghisti, mantenendo aperto lo stabilimento sia pure con un impegno forte in materia di risanamento ambientale. In compenso, Salvini ha ceduto sulla questione delle Autonomie: il trasferimento dei poteri alle regioni avverrà ma solo dopo i referendum consultivi. La Lega ha invece ottenuto il massimo in materia di migranti, con la nuova stretta sui migranti e la difesa ad oltranza del reato di clandestinità. I grillini, invece, hanno salvato la faccia sul “conflitto di interessi”, costringendo il centrodestra ad inserire un capitolo dedicato proprio a questo tema. Sia pure con l’assicurazione che non ci saranno intenti punitivi. Basterà questo ad accontentare un Berlusconi riabilitato? In compenso, Salvini ha ottenuto da Di Maio il via libera ad un altro dei cavalli di battaglia della Lega: la costruzione di nuove carceri.
Il nodo coperture. E’ il problema dei problemi. Il contratto non offre cifre concrete. Ma, secondo i calcoli più attendibili, per fare fronte a tutti gli impegni servirebbe una cifra compresa fra gli 80 e i 100 miliardi di euro, considerando anche i 14 necessari per scongiurare a inizio 2019 l’aumento delle aliquote dell’Iva. Proprio per questo, fino all’ultimo, si è discusso sulle tre grandi voci di spesa del contratto: lo stop alla legge Fornero, con l’introduzione della cosiddetta quota 100 (la somma fra età anagrafica e contributiva), le aliquote della flat tax, che potrebbero essere anche superiori al 15-20% ipotizzate in un primo momento, e l’introduzione del reddito di cittadinanza, il cui avvio potrebbe slittare di almeno un anno. Gran parte delle coperture dovrebbero arrivare dal capitolo fiscale, dalla riedizione aggiornata e rafforzata della spending review e dalla sforbiciata a deduzioni e detrazioni. Ma l’Europa difficilmente autorizzerà misure strutturali con coperture una tantum. Senza considerare che, nel 2019, la crescita potrebbe subire un nuovo rallentamento, con un’automatica crescita del deficit.
Le prossime mosse. Una volta raggiunta l’intesa sul premier, il nuovo governo dovrà subito affrontare l’esame Ue, con il verdetto sulla manovra 2018 e, soprattutto, sui contenuti con i quali riempire il Def, il Documento di Economia e Finanza, che Padoan ha presentato, come si dice, “a politiche invariate”, cioè senza alcun intervento. Salvini punta in alto e, nel contratto, è arrivato perfino a parlare di una rinegoziazione degli accordi sottoscritti con Bruxelles. Materia sulla quale sicuramente il Quirinale farà sentire la sua voce. E che si presenta indigesta anche per il leader dei grillini. Poi, subito dopo, si aprirà il dossier sulle nomine. Nel documento, a quanto risulta, non si parla mai di poltrone nelle aziende pubbliche. Ma, sicuramente, sarà uno degli argomenti sui quali leghisti e penta stellati misureranno i rapporti di forza.