DI LAURA BERCIOUX
Giovanni Paolo II, il 13 aprile del 1986 si recò in Sinagoga a Roma: un gesto importante per la Chiesa e la Comunità Ebraica. Un gesto che nelle parole del Papa aprì una nuova strada. Disse “I nostri fratelli Maggiori, siete i nostri fratelli prediletti”. Un gesto rivoluzionario. Ma cosa è cambiato da allora? Lo chiediamo a Fabrizio Gallichi, per la Comunità Ebraica, e con lui ripercorriamo quell’evento.
“Ricordo la visita del Pontefice alla Sinagoga di Roma come se fosse ieri, ricordo l’atmosfera che lo preparò e come il mondo ebraico accolse la notizia e, poi, l’evento. In quel tempo la comunità ebraica di Napoli ricevette la visita del Cardinale Corrado Ursi , fu assai strano vedere in Sinagoga suore e preti. Le parole del rabbino e dell’ospite aprirono un panorama di amicizia e serenità. In quella occasione fui colpito dalla lungimiranza con la quale il cardinale indicava, nello spirito dell’amicizia, la strada del fare insieme, dell’affrontare insieme come più importante del confronto teologico. Guardai alla visita del Papa alla Sinagoga di Roma memore di quanto era già accaduto con i papi che avevano preceduto Giovanni Paolo II: il pensiero andava a Papa Roncalli che, un sabato mattina, passando davanti alla Sinagoga, benedisse gli ebrei romani che uscivano al termine delle loro funzioni religiose. Il pensiero era rivolto anche alle riflessioni di Paolo VI. Ero testimone di un evento determinatosi in un lungo processo e del quale poteva essere punto di arrivo e partenza contemporaneamente”.
Un evento straordinario, dunque?
“Un’immagine mi resta impressa di quella memorabile visita: il Rabbino con il quale studiavo e che ancora oggi ricordo per quanto di insostituibile mi ha dato, Rav Cesare Israel Eliseo z.l., era seduto tra i pochi che erano ammessi all’evento. Se c’era il mio maestro ero presente anche io. La figura del Papa e quella del Rabbino Toaf restano ferme in una immagine di autorevolezza semplice, diretta e fortissima che mi pare da allora mai più raggiunta. La Sinagoga sorta, tra il Tevere ed il ghetto dopo la emancipazione degli ebrei , accoglieva, con una maestà propria solo delle cose essenziali, il rappresentante di quell’ebreo figlio di un falegname che mai dichiarò discostarsi dalla propria tradizione, di rifiutare o emendare la Legge. Al calore ed al rinnovarsi di un’amicizia affermata in passato da parte ebraica, fece riscontro un elevato messaggio papale, un messaggio con il quale sembrava definitivamente chiudersi una lunga storia di dolore portato alla radice insostituibile ed insostituita del monoteismo da quanti pure se ne dicevano eredi. Purtroppo l’antisemitismo, come lo conobbero le generazioni passate a cui oggi si aggiunge quello che vorrebbe negare una casa sicura agli ebrei, non scomparve. Scarso è stato lo sforzo della chiesa a combattere il virus che talvolta si incontra al suo interno e che è una malattia di odio, contraria in maniera essenziale a ciò che il cristianesimo professa. Nessuno avrebbe allora potuto immaginare che gli stessi seguaci dell’ebreo nazareno furono gli autori delle persecuzioni e degli eccidi che insanguinano i nostri giorni”.
Cosa è cambiato da allora?
“Il presentarsi al mondo come fratelli nella unità sancita dalla Torà, il Pentateuco, in quella unità dell’origine che ha la forza di rompere ogni pregiudizio, divisione, fatalismo, rappresentò non solo un fatto unico, ma una conquista da cui non si deve più tornare indietro, Non si deve più tornare indietro prima di tutto affinchè la Chiesa sia promotrice di fratellanza esattamente come l’Ebraismo insegna e pratica da millenni. Alcuni rilevarono una stonatura in quel chiamare gli ebrei fratelli maggiori, nella Torà fratello maggiore fu Esaù, un esempio da non seguire. L’interpretazione mi parve e mi pare insostenibile, preferisco leggervi il riconoscimento del popolo di Israele quale primogenito nella rivelazione, quale testimone e custode di una elezione, intesa come affidamento della legge, che non è trasferibile o riducibile. Gli amici sanno essere uno al fianco dell’altro superando opportunismi ed interessi. Oggi, di fronte alla terribile e crescente minaccia a ciò che siamo divenuti con sforzi indicibili e superando errori dalle conseguenze immensamente dolorose, dovremmo essere davvero fratelli, dovremmo insieme essere testimoni del fondamentale rispetto della vita e della dignità umana, non solo formalmente, ma anche nei fatti”.
Papa Francesco è stato duro con l’eccidio degli armeni
“Papa Bergoglio ha posto l’attenzione sull’eccidio degli Armeni, su un incontestabile fatto storico che preparò la shoà, ed ancora vi è chi non sia disponibile a riconoscere quel reato contro l’umanità. Dopo la visita di Giovanni Paolo vi è stato un pontefice che illuminò il mondo con il suo discorso a Ratisbona – occorre rileggerlo alla luce del presente – e vi furono potenti inviti alla convivenza, eppure oggi attoniti vediamo teste tagliate, fedeli arsi vivi nelle chiese, ebrei aggrediti e colpiti in ogni dove. Lo spirito di fratellanza si è perso? Le delusioni seguenti aspettative deluse hanno creato un solco? Quale che sia la ragione abbiamo, ebrei e cristiani, amanti della pace, l’obbligo di salvare noi stessi e quei fratelli che sono vittime della loro stessa storia, chiusi in società opprimenti e sanguinarie. Ogni bimba violentata dal proprio marito, ogni omosessuale lanciato dai tetti a schiantarsi al suolo, ogni libro di cui si impedisce la lettura è conseguenza diretta della nostra accidia, della nostra irresponsabilità ed è solo la premessa di quanto potrà accadere alle porte delle nostre case. Lo spirito dell’incontro del 13 aprile del 1986, quell’entusiasmo, appaiono essersi spenti e di ciò è causa il non aver saputo tenere alto quello spirito ed acceso il fuoco dell’amicizia. Oggi siamo costretti a contare le vittime ed a tentare di sanare le ferite, quella prospettiva di progresso morale che illuminò trenta anni Orsini è oggi misurabile come una mera espressione di volontà o poco più. Nella sua visita, il Cardinale Ursi donò un orologio da tavolo affinchè segnasse il tempo della amicizia affermata in occasione della sua visita. Chissà se quell’orologio batte ancora? Certo, oggi guardare alle rappresentanze dell’ebraismo e del cattolicesimo in relazione allo spessore dei protagonisti della storica visita alla sinagoga di Roma é sconfortante”.