Antonio Troise

Le sentenze si rispettano, non si commentano. Ma nel frattempo possono essere anche molto care per le imprese. Secondo i calcoli di Confindustria, errori giudiziari e processi lumaca costano quasi 370 euro per ogni azienda, 2,3 miliardi all’anno. Il danno più immediato è, ovviamente, per le società quotate, dove inchieste giudiziarie e processi si trasformano in veri e propri crolli. Ma ci sono anche quelle che hanno dovuto gettare la spugna e chiudere definitivamente l’azienda. E quelle che sono riuscite a tirare avanti nonostante tutto e con fatturati dimezzati. Altre ancora hanno ottenuto solo mini-risarcimenti dopo sentenze risultate ingiuste. Insomma, l’assoluzione dei due manager pubblici, Giuseppe Orsi e Bruno Spagnolini, dopo la condanna in primo grado non è certo un caso isolato. Per restare sempre in casa dell’ex Finmeccanica (oggi si chiama Leonardo), il past presidente Pier Francesco Guarguaglini, era stato costretto a dimettersi per una storia di false fatturazioni. Dopo 13 mesi la Procura di Roma ha archiviato la sua posizione.  Ma sono tante le imprese che rischiano grosso, soprattutto sui mercati globalizzati, dove la reputazione è uno dei valori più consistenti. Prendiamo il caso dell’Ilva, il colosso della siderurgia messo a tappeto dall’inchiesta sull’inquinamento ambientale. La difesa della salute viene sicuramente prima di quella dei posti di lavoro. Ma il destino di 20mila posti di lavoro e di un piano di investimenti che supera i due miliardi è strettamente collegato alla battaglia giudiziaria avviata dal sindaco di Bari e da quello di Taranto contro il piano di risanamento presentato dal governo. Un contenzioso che potrebbe spingere la multinazionale ArcelorMittal che ha acquistato gli impianti a fare le valigie.

Nella fiera delle inchieste giudiziarie che hanno conquistato titoloni mediatici ma che poi sono finite nel nulla anche il processo di Trani per la presunta manipolazione di mercato commessa da cinque tra ex manager e analisti di Standard e Poor’s e di Fitch.  Ma non sono solo le grandi aziende a pagare i costi della malagiustizia. A Potenza, nel 2002,  i Pm sequestrano l’azienda di costruzioni di Luigi Spartaco, coinvolta in un’inchiesta su presunte tangenti pagate per un appalto Inail. Sette anni dopo il Tribunale di Roma lo assolve. Nel frattempo l’azienda è arrivata al capolinea e giudici riconoscono all’imprenditore un mini-indennizzo: poco più di 11mila euro.  A Salerno, il gruppo Maiolica, 25 punti vendita e un fatturato di 80 milioni, entra nel mirino dei Pm nel 2003 nell’ambito di un’indagine per lottizzazione abusiva. Il gruppo non regge, nel 2005 dichiara bancarotta e vanno in fumo 300 posti di lavoro. Dieci anni dopo il verdetto viene ribaltato: i fratelli Maiolica sono assolti e chiedono un maxi risarcimento allo Stato per 30 milioni.

Certo, negli ultimi tempi, c’è stata un’inversione di tendenza, con una riduzione dei tempi medi per i processi, soprattutto nell’ambito della giustizia civile. Merito anche della riorganizzazione degli uffici giudiziari. Ma il percorso resta lungo e difficile.

Fonte: Il Resto del Carlino