Chissà cosa avrebbe detto in questi giorni di divieti agli sbarchi, di autorità imposte, Errico Malatesta lo scrittore, l’anarchico di Santa Maria Capua Vetere considerato uno dei massimi esponenti del movimento libertario italiano e del libero pensiero, al pari del corregionale Giordano Bruno. Lui che nel Manifesto Anarchico del 1919 scrisse « … noi vogliamo che gli uomini affratellati da una solidarietà cosciente e voluta cooperino tutti volontariamente al benessere di tutti; noi vogliamo che la società sia costituita allo scopo di fornire a tutti gli esseri umani i mezzi per raggiungere il massimo benessere possibile, il massimo possibile sviluppo morale e materiale; noi vogliamo per tutti pane, libertà, amore, scienza».
La Casa della Memoria e della Storia di Roma lo ricorda in una mostra, Errico Malatesta. Idee e azioni – Appunti per una storia internazionale (dal 19 marzo al 12 aprile 2019).
E chissà che cosa avrebbe organizzato sotto il Palazzo della Gran Guardia di Verona, prossima sede del dibattuto Congresso Internazionale delle Famiglie, lui che teorizzava la «Ricostruzione della famiglia in quel modo che risulterà dalla pratica dell’amore, libero da ogni vincolo legale, da ogni oppressione economica o fisica, da ogni pregiudizio religioso».
Nacque nel 1853, si formò negli ambienti universitari napoletani, anche se gli studi in medicina non li terminò mai. Fu prima mazziniano, simpatia che gli procurò il primo arresto a diciott’anni, aderì alla Comune di Parigi e qui divenne anarchico. In Svizzera conobbe Michail Bakunin, diventarono amici, fu iniziato alla massoneria ma se ne svincolò subito.
Ha peregrinato tutta la vita: arrestato, espulso, condannato, confinato, fuggito, si spostava fra Egitto, Siria, Belgio, Tunisia, a Ustica e Lampedusa doveva scontare cinque anni di domicilio coatto, ma riuscì a fuggire, a Londra vendeva gelati per strada durante il giorno, di sera scriveva articoli per i giornali italiani: L’Agitazione, Umanità Nuova. Era appassionato, solido, non provava livore per i suoi avversari e carcerieri. Nonostante una condanna a tre anni, nel 1884 andò a Napoli per aiutare la popolazione colpita dal colera: fu costretto a fuggire in America Latina per sfuggire alla cattura. Rientrato in Italia, a Roma durante il fascismo fu sorvegliato speciale al punto che gli ultimi ani di vita li visse praticamente chiuso in casa con la compagna Elena Melli e la figlia Gemma, isolato. La sua morte, il 22 luglio 1932 passò inosservata sulla stampa a causa della censura; fu vietata la cremazione del corpo per evitare che gli anarchici portassero le ceneri in Europa come simbolo dell’opposizione al regime.
La mostra romana ripercorre tutta la vita e le vicende di un uomo che per mezzo secolo è stato protagonista di tutte le lotte sociali in Italia: la rivolta di Benevento del 1877, uno degli eventi più popolari e simbolici nella storia del movimento anarchico; i tumulti del pane del 1898, che lo condussero in carcere e poi alla residenza forzata, da dove scappò nel 1899; la settimana rossa insurrezionale nel 1914, quando Romagna e Marche rimasero per giorni nelle mani degli anarchici, dei repubblicani e socialisti; e il biennio rosso del 1919-20, quando l’occupazione delle fabbriche sembrò portare l’Italia sul limite della rivoluzione. Sei sezioni: “La Biografia”, “Antimilitarismo e Arditi del Popolo”, “La Roma di Malatesta”, “Malatesta e il Movimento operaio e contadino”, “Umanità Nova”, “Pubblicazioni e Stampa” oltre a opuscoli, corrispondenze, articoli, manoscritti, volantini, inediti. Sono materiali originali, per esempio la prima uscita di Pensiero e Volontà del 1924 e i primi numeri del quotidiano Umanità Nova con il supplemento del n.1. In prima pagina si legge: «La tecnologia consente un utilizzo a più ampio spettro degli strumenti informativi, in grado di stabilire connessioni relazionali in qualsiasi direzione, senza procedere gerarchicamente e linearmente». Sembrano parole scritte oggi, sembra parlino del web. Sono del 27 febbraio 1920.
Maria Tiziana Lemme