“L’innovazione si manifesta a poco a poco. Poi all’improvviso, cambia passo e si mette a correre molto velocemente…” E’ questa la citazione – tratta da Clayton M. Christensen, docente alla Harvad Business School e ripresa dal futurologo Gerd Leonard – che fa da incipit all’ultimo libro firmato da Fabio De Felice e Antonella Petrillo, docente del Dipartimento di Ingegneria all’Università Parthenope di Napoli.
Edito da Mc Graw-Hill, il volume “Effetto digitale. Visioni d’impresa e Industria 5.0” consta di sette capitoli in cui con stile incalzante e linguaggio efficace,si parla tra l’altro di Industria 5.0, tecnologie abilitanti, intelligenza artificiale, quantum computing, robotica e bioeconomia… “L’innovazione – spiega De Felice – si palesa come il processo di solidificazione dell’acqua, che per tanto tempo si raffredda progressivamente e poi…”.
Docente di Ingegneria degli Impianti industriali all’Università di Cassino, è tra i massimi esperti italiani di digitalizzazione delle imprese, nonché fondatore e presidente di Protom. Realtà imprenditoriale che è oggi la prima Kti (Knowledge & Technology Intensive) company italiana: centottanta dipendenti (età media 35 anni), quartier generale a Napoli, sedi a Milano, in Francia e in Brasile. Il Sudonline lo ha intervistato.
Professor De Felice, l’innovazione è come un processo latente, subliminale, carsico. Poi qualcosa a un certo punto funge da catalizzatore del cambiamento. E infine l’innovazione emerge in tutta la sua portata. Non è così?
Per dirlo con una metafora, è come il passaggio dall’acqua liquida al ghiaccio.L’acquaimpiega un periodo relativamente lungo perpassare da uno stato all’latro.Le sue molecole iniziano a disporsi per un certo lasso di tempo in modo ordinato, formando un reticolo cristallino. Ma il congelamento avviene tutt’a un tratto, in maniera repentina e riguarda tutta la quantità d’acqua, non solo parti sporadiche.
Veniamo al suo libro scritto a quattro mani con la professoressa Petrillo. Vi si sostiene che l’Italia, pur essendo ancora la seconda potenza industriale dolo la Germania, è un paese digitalmente in affanno. Che cosa vuole intendere?
I dati del Digital Report 2020 di “We are social” parlano di 50 milioni di italiani on line, 35 dei quali attivi sui canali social. Ma sono dati che traggono in inganno, perché una cosa è marcare una presenza sui social, tutt’altra cosa è avere alte performance in ambito digitale. E la differenza sta tutta nei dati dell’indice DESI (Digital Economy and Sociaty Index).
Che cosa evidenziano?
Parlano di un Paese che è terz’ultimo in Europa per grado di digitalizzazione. Lontanissimo dai traguardi assegnati dalla strategia “Italia 2025”.
E qual è il motivo di questo esito infelice?
Una discrepanza che nasce dal fatto che non c’è continuità tra ciò che abbiamo imparato a fare come individui e ciò che rappresentiamo come tessuto imprenditoriale. Mi spiego: non riusciamo a trasferire la facilità di utilizzo della tecnologia dalla vita quotidiana alle nostre aziende. E da queste alla pubblica amministrazione.
C’è un perché?
Io credo che dipenda da resistenze interne ed esterne, quasi come se introdurre nuove tecnologie in azienda significasse modificare lo status quo aziendale, facendo perdere potere e stabilità a chi le gestisce. A sua volta la macchina burocratica, già lenta e refrattaria per sua natura, respinge i processi di digitalizzazione, puntando a tenere in vita una visione miope e passatista del rapporto tra cittadini e istituzioni.
In Italia quindi l’aspetto più critico riguarda il capitale umano, ossia le competenze digitali?
Settore in cui il nostro Paese si colloca all’ultimo posto nell’Unione europea. I dati riferiti al 2019, infatti, dicono che solo il 42% delle persone tra i 16 e i 74 anni possiede almeno competenze digitali di base, contro il 58% in Europa e il 70% in Germania. E ancora: solo l’1% dei laureati italiani è in possesso di una laurea in discipline ICT, dato più basso nell’Ue dove il dato raggiunge il 3,6 e il 4,7 in Germania.
La pandemia da Covid 19 renderà molto più complicato l’obiettivo di allinearci a quei livelli di competenza, non crede?
Beh, parliamo della crisi che sta scatenando la recessione più grave dalla seconda guerra mondiale. Le ultime previsioni Ocse dipingono un quadro francamente desolante, con un calo annuale per il 2020 variabile tra il 6 e il 7,5%. Il rimbalzo atteso per l’economia nel 2021 è legato a filo doppio alla disponibilità e alla diffusione dei vaccini. E non va sottovalutato che la pandemia è stato un fattore problematico forte che si è aggiunto ad altre criticità pre-esistenti, come il cambiamento climatico. Per non parlare del calo di fiducia verso le istituzioni scientifiche, piuttosto esteso nel mondo occidentale, che tuttavia il Covid ha contribuito a ridimensionare ampiamente. Dinanzi a un nemico invisibile e insidiosissimo, le aspettative riposte nelle scienze e nei loro strumenti hanno ripreso quota.
Infatti, nel libro si legge, a questo proposito, che allo scoccare del lockdown “la tecnologia è diventata l’ancora alla quale appigliarsi in uno scenario economico che, una settimana dopo l’altra, ha navigato a vista: “incapace di raggiungere un porto sicuro ed obbligata ad adattarsi a una vita fatta di orizzonti mobili. Ci vuole spiegare questo concetto?
Sì, guardiano al tessuto imprenditoriale italiano. Esso è storicamente frammentato e intrinsecamente resistente al cambiamento, nonché depauperato sistematicamente di risorse e idee. Ha subito un colpo violento. Eppure la pandemia sta trasformando paradossalmente in un catalizzatore dei processi di digitalizzazione.
Lei crede?
Ne sono convinto perché è assai diffusa la percezione è che ci troviamo al cospetto non di un nuovo secolo, ma di una nuova era. E che il futuro appartiene a chi non ha paura di ricostruire un mondo migliore. Anche rischiando di vivere possibili fallimenti, che rappresentano opportunità di miglioramento e ripartenza grazie a una contaminazione di idee che non è mai stata così veloce e così fruttuosa.E la vicenda dei vaccini, perfezionati e adottati con una rapidità ed efficacia inedita, sta lì a dimostrarlo”.
A cura di Asco