Rischio chiusura dal 2 gennaio per il 95% delle aziende del settore e-cig con ricadute sull’occupazione per circa 5000 lavoratori. E’ l’allarme lanciato dalle associazioni di categoria delle sigarette elettroniche che chiedono un rinvio della normativa introdotta con il decreto Lavoro-Iva dello scorso luglio che prevede dal primo gennaio 2014 una imposta del 58,5% del prezzo di vendita sulla sigaretta elettronica comprese le parti di ricambio (batterie, ricariche batterie, vaporizzatori, ecc.) e i liquidi o ricariche. Il decreto attuativo che doveva essere adottato entro il 31 ottobre è stato pubblicato in Gazzetta Ufficiale soltanto il 9 dicembre. Anafe-Confindustria e Fiesel-Confesercenti stanno avendo contatti con i Monopoli ai quali da settimane espongono le loro richieste con l’auspicio che vengano accolte. E confidano che con la relazione dei Monopoli indirizzata al ministero delle Finanze, il governo possa intervenire sulla materia o con un emendamento al decreto Milleproroghe o con un intervento diretto nel prossimo dl che verrà emanato da Palazzo Chigi. Oltre al rinvio di almeno tre mesi della normativa, Anafe-Confindustria e Fiesel-Confesercenti chiedono la riduzione al 25% della tassazione soltanto sui liquidi e non sull’hardware. Se non si interviene nel giro di poche settimane, denunciano le associazioni di categoria, il settore morirà con ricadute drammatiche per l’occupazione. Non solo. Lo stesso Stato con questa tassazione eccessiva rischia di non incassare un euro di gettito.
Guardiamo dunque al presente, al malessere diffuso, alla “fatica sociale” – come si è detto – cui dare risposte qui ed ora, nell’anno 2014, ma lavoriamo in pari tempo a un disegno di sviluppo nazionale e di giustizia sociale da proiettare in un orizzonte più lungo. E’ a questa prospettiva che sono interessati innanzitutto i giovani, quelli che con grandi sforzi già hanno trovato il modo di dare il meglio di sé – ad esempio, ne parlo spesso, nella ricerca scientifica – e gli altri, i più, che ancora non riescono a trovare sbocchi gratificanti di occupazione e di partecipazione a un futuro comune da costruire per l’Italia.
Si richiedono però lungimiranti e continuative scelte di governo, con le quali debbono misurarsi le forze politiche e sociali e le assemblee rappresentative, prima di tutto il Parlamento, oggi più che mai bisognoso di nuove regole per riguadagnare il suo ruolo centrale.
Non tocca a me esprimere giudizi di merito, ora, sulle scelte compiute dall’attuale governo, fino alle più recenti per recuperare e bene impiegare, essenzialmente nel Mezzogiorno, miliardi di euro attribuitici dall’Unione Europea attraverso fondi che rischiamo di perdere. Rispetto a tali scelte e alla loro effettiva attuazione, e ancor più a quelle che il governo annuncia – sotto forma di un patto di programma, che impegni la maggioranza per il 2014 – il solo giudice è il Parlamento. E grande, a questo proposito, è lo spazio anche per le forze di opposizione che vogliano criticare in modo circostanziato e avanzare controproposte sostenibili.
La sola preoccupazione che ho il dovere di esprimere è per il diffondersi di tendenze distruttive nel confronto politico e nel dibattito pubblico – tendenze all’esasperazione, anche con espressioni violente, di ogni polemica e divergenza, fino a innescare un “tutti contro tutti” che lacera il tessuto istituzionale e la coesione sociale.
Penso ai pericoli, nel corso del 2013, di un vuoto di governo e di un vuoto al vertice dello Stato : pericoli che non erano immaginari e che potevano tradursi in un fatale colpo per la credibilità dell’Italia e per la tenuta non solo della sua finanza pubblica ma del suo sistema democratico. Quei pericoli sono stati scongiurati nel 2013, sul piano finanziario con risultati come il risparmio di oltre 5 miliardi sugli interessi da pagare sul nostro debito pubblico. Sarebbe dissennato disperdere i benefici del difficile cammino compiuto. I rischi già corsi si potrebbero riprodurre nel prossimo futuro, ed è interesse comune scongiurarli ancora.
La nostra democrazia, che ha rischiato e può rischiare una destabilizzazione, va rinnovata e rafforzata attraverso riforme obbligate e urgenti. Entrambe le Camere approvarono nel maggio scorso a grande maggioranza una mozione che indicava temi e grandi linee di revisione costituzionale. Compreso quel che è da riformare – come proprio nei giorni scorsi è apparso chiaro in Parlamento – nella formazione delle leggi, ponendo termine a un abnorme ricorso, in atto da non pochi anni, alla decretazione d’urgenza e a votazioni di fiducia su maxiemendamenti. Ma garantendo ciò con modifiche costituzionali e regolamentari, confronti lineari e «tempi certi in Parlamento per l’approvazione di leggi di attuazione del programma di governo».
Anche se molto è cambiato negli ultimi mesi nel campo politico e le procedure da seguire per le riforme costituzionali sono rimaste quelle originarie, queste riforme restano una priorità. Una priorità indicata al Parlamento già dai miei predecessori e riconosciuta via via da un arco di forze politiche rappresentate in Parlamento ben più ampio di quelle che sostengono l’attuale governo. E mi riferisco a riforme che soprattutto sono i cittadini stessi a sollecitare.
Alle forze parlamentari tocca in pari tempo dare soluzione – sulla base di un’intesa che anch’io auspico possa essere la più larga – al problema della riforma elettorale, divenuta ancor più indispensabile e urgente dopo la sentenza della Corte Costituzionale.
Dobbiamo tutti augurarci che il 2014 ci veda raggiungere risultati apprezzabili in queste direzioni.
Non posso a questo punto fare a meno di sottolineare come nel nuovo anno l’Italia sia anche chiamata a fare la sua parte nella comunità internazionale : dando in primo luogo il suo contributo all’affermazione della pace dove ancora dominano conflitti e persecuzioni. E a questo riguardo voglio ricordare ancora una volta l’impegno dei nostri militari nelle missioni internazionali, tra le quali quella contro la nuova pirateria cui partecipavano i nostri marò Massimiliano La Torre e Salvatore Girone, ai quali perciò confermo la nostra vicinanza. E rivolgo un commosso pensiero a tutti i nostri caduti.
A una comune responsabilità per le sorti del mondo ci ha richiamato, nei suoi messaggi natalizi e per la giornata mondiale della pace, Papa Francesco con la forza della sua ispirazione che fa leva sul principio di fraternità e che sollecita anche scelte coerenti di accoglienza e solidarietà verso quanti fuggono da guerre, oppressioni e carestie cercando asilo in Italia e in Europa.
Queste supreme istanze di pace e di solidarietà mi spingono anche a un appello perché non si dimentichi quello che l’Europa, l’integrazione europea, ci ha dato da decenni : innanzitutto proprio la pace e la solidarietà. Anche in funzione di tale impegno molte cose debbono oggi certamente cambiare nell’Unione Europea. In tal senso dovrà operare l’Italia, specie nel semestre di sua presidenza dell’Unione, senza che nessuno degli Stati membri si tiri però indietro e si rinchiuda in un guscio destinato peraltro ad essere travolto in un mondo radicalmente cambiato e divenuto davvero globale.
Né si dimentichi – nel fuoco di troppe polemiche sommarie – che l’Europa unita ha significato un sempre più ampio riconoscimento di valori e di diritti che determinano la qualità civile delle nostre società. Valori come quelli, nella pratica spesso calpestati, della tutela dell’ambiente – basti citare il disastro della Terra dei fuochi – del territorio, del paesaggio. Diritti umani, diritti fondamentali : compresi quelli che purtroppo sono negati oggi in Italia a migliaia di detenuti nelle carceri più sovraffollate e degradate.
Care ascoltatrici, cari ascoltatori, ho voluto esprimervi la mia vicinanza a realtà sociali dolorose, che molti di voi vivono in prima persona, ed evocare valori e principi, necessità e speranze di cambiamento da coltivare tenacemente. L’ho fatto senza entrare nel merito di posizioni politiche e di soluzioni concrete, su cui non tocca a me pronunciarmi. Come nei sette anni conclusisi nell’aprile scorso, così negli otto mesi successivi alla mia rielezione, ho assolto il mio mandato raccogliendo preoccupazioni e sentimenti diffusi tra gli italiani. E sempre mirando a rappresentare e rafforzare l’unità nazionale, servendo la causa del prestigio internazionale dell’Italia, richiamando alla correttezza e all’equilibrio nei rapporti tra le istituzioni e tra i poteri dello Stato, nei rapporti, anche, tra politica e giustizia tenendo ben ferma la priorità della lotta al crimine organizzato.
Conosco i limiti dei miei poteri e delle mie possibilità anche nello sviluppare un’azione – al pari di tutti i miei predecessori – di persuasione morale. Nessuno può credere alla ridicola storia delle mie pretese di strapotere personale. Sono attento a considerare ogni critica o riserva, obbiettiva e rispettosa, circa il mio operato. Ma in assoluta tranquillità di coscienza dico che non mi lascerò condizionare da campagne calunniose, da ingiurie e minacce.
Tutti sanno – anche se qualcuno finge di non ricordare – che il 20 aprile scorso, di fronte alla pressione esercitata su di me da diverse ed opposte forze politiche perché dessi la mia disponibilità a una rielezione a Presidente, sentii di non potermi sottrarre a un’ulteriore assunzione di responsabilità verso la Nazione in un momento di allarmante paralisi istituzionale.
Null’altro che questo mi spinse a caricarmi di un simile peso, a superare le ragioni, istituzionali e personali, da me ripetutamente espresse dando per naturale la vicina conclusione della mia esperienza al Quirinale. E sono oggi ancora qui dinanzi a voi ribadendo quel che dissi poi al Parlamento e ai rappresentanti regionali che mi avevano eletto col 72 per cento dei voti. Resterò Presidente fino a quando «la situazione del paese e delle istituzioni» me lo farà ritenere necessario e possibile, «e fino a quando le forze me lo consentiranno». Fino ad allora e non un giorno di più ; e dunque di certo solo per un tempo non lungo. Confido, così facendo, nella comprensione e nel consenso di molti di voi.
Spero di poter vedere nel 2014 decisamente avviato un nuovo percorso di crescita, di lavoro e di giustizia per l’Italia e almeno iniziata un’incisiva riforma delle istituzioni repubblicane.
Ho concluso. Buon anno alle vostre famiglie, dagli anziani ai bambini, buon anno a chi serve la patria e la pace lontano dall’Italia, buon anno a tutti quanti risiedono operosamente nel nostro paese.
Guardiamo – lasciate che ve lo dica – con serenità e con coraggio al nuovo anno.