RENZI, presidente del Consiglio dei ministri. Signor Presidente del Senato, gentili senatrici,
onorevoli senatori, ci avviciniamo a voi in punta di piedi, con il rispetto profondo, non formale, che
si deve a quest’Aula, che si deve alla storia di un Paese che trova in alcuni dei suoi luoghi non
soltanto un simbolo – cioè qualcosa che tiene insieme – ma anche un elemento di unità profondo.
Ci avviciniamo con lo stupore di chi si rende conto della magnificenza e della grandezza non solo di
un luogo fisico, ma anche del valore che questo rappresenta nel cuore di una lunga storia, come
quella italiana. Ci avviciniamo, dunque, a voi con lo stupore di chi si rende conto di essere davanti a un pezzo di
una storia che viene da una tradizione unica. Ma, contemporaneamente, sappiamo perfettamente che
viviamo un tempo di grande difficoltà, di struggenti responsabilità e, di fronte all’ampiezza di
questa sfida, abbiamo la necessità di recuperare il coraggio, il gusto e, per qualche aspetto, anche il
piacere di provare a fare dei sogni più grandi rispetto a quelli che abbiamo svolto sino ad oggi e
contemporaneamente accompagnarli da una concretezza puntuale, precisa.
Riflettevo stamattina sul fatto che io non ho l’età per sedere nel Senato della Repubblica. Non vorrei
iniziare con una citazione colta e straordinaria della pur bravissima Gigliola Cinquetti, ma è così:
non ho l’età. E fa pensare che oggi davanti a voi, senatrici e senatori, siamo qui non per inseguire un
record anagrafico, non per allungare di una riga il nostro curriculum vitae, non per toglierci qualche
soddisfazione personale: siamo qui – ve lo dobbiamo – per parlarvi un linguaggio di franchezza,
vorrei dire al limite della brutalità, nel rispetto della storia a cui ho fatto riferimento.
Siamo a chiedervi la fiducia, e oggi chiedere la fiducia è un gesto controcorrente, e non tanto nel
dibattito politico (doveroso, istituzionale, costituzionalmente previsto). Tuttavia, chiedere la fiducia
significa oggi provare ad andare controcorrente: si fatica a dare fiducia nel rapporto quotidiano con
le persone, con i colleghi di lavoro; le persone che stanno fuori da quest’Aula sanno che chiedere la
fiducia oggi è sempre più difficile. Non va di moda la richiesta della fiducia. Chiediamo fiducia a
questo Senato. Ci impegniamo a meritare la fiducia come Governo, perché pensiamo che l’Italia
abbia la necessità urgente e indifferibile di recuperare la fiducia come condizione per uscire dalla
situazione di crisi in cui ci troviamo.
Il nostro è un Paese arrugginito, un Paese impantanato, incatenato da una burocrazia asfissiante, da
regole, norme e codicilli che paradossalmente non eliminano l’illegalità: senza dover risalire alle
gride manzoniane, l’idea che le norme che si sono succedute nel corso degli anni non abbiano
prodotto il risultato auspicato è sotto gli occhi di tutti. Eppure, oggi chiedere la fiducia significa
proporre una visione audace, unitaria e per qualche aspetto anche – spero – innovativa, che parte dal
linguaggio della franchezza con la quale comunico fin dall’inizio che vorrei essere l’ultimo
Presidente del Consiglio a chiedere la fiducia a quest’Aula. Sono consapevole della portata di questa
espressione, e anche del rischio di farla di fronte a senatrici e senatori che certo non meritano per
qualità personale il ruolo di ultimi senatori a dare la fiducia a un Governo, ma è così. Non lo sta
chiedendo un Governo: lo sta chiedendo un Paese, l’Italia. (Commenti dal Gruppo LN-Aut).
Noi oggi non immaginiamo di essere gli ultimi a chiedervi la fiducia perché abbiamo un pregiudizio
su di voi, ma perché abbiamo un giudizio organico sull’Italia per il quale o siamo nelle condizioni…
(Commenti del senatore Calderoli). Apprezzo che questa dichiarazione abbia suscitato l’entusiasmo
del senatore Calderoli, ma alla perentorietà di questa affermazione corrisponde la consapevolezza
che quello che stiamo vivendo è un momento in cui o si ha il coraggio di operare delle scelte
radicali e decisive, oppure non perderemo soltanto la relazione tra di noi, ma anche il rapporto con
chi da casa continua a pensare che la politica sia una cosa seria, che la politica sia ciò che di più
grande ha un Paese, che la politica sia il valore per il quale vale la pena confrontarsi, discutere,
litigare, ma anche per il quale alla fine valga la pena vivere un’esperienza di rispetto degli altri;
quella straordinaria esperienza per la quale siamo, a differenza di qualche leader, orgogliosi di
essere democratici, siamo orgogliosi di apprezzare le regole del gioco della democrazia.
Certo, più voi sarete capaci di stimolarci, più voi sarete capaci di incalzarci, più voi sarete capaci di
raccontarci nel dettaglio come noi possiamo cambiare, più incisiva sarà l’azione di questo Governo.
Tuttavia, non possiamo non partire da un giudizio reale su ciò che sta fuori da queste Aule. Se in
questi anni avessimo prestato ai mercati rionali lo stesso ascolto che abbiamo prestato ai mercati
finanziari, ci saremmo accorti che la prima richiesta è la richiesta di semplicità, di pace, di
chiarezza; è la richiesta di una tregua della politica rispetto ai cittadini.
L’impressione che invece abbiamo dato è quella di un’angoscia nel rapporto tra politici e cittadini,
per i quali l’idea che oggi è forte nel Paese è che l’Italia abbia già finito tutto il futuro che aveva, che
l’Italia abbia esaurito le sue carte e che sia un Paese finito, più che un Paese infinito.
Bene, noi abbiamo accelerato e deciso di cambiare l’impostazione del Governo nelle forze politiche
che lo sostengono perché pensiamo che fuori di qui ci sia un’Italia viva, brillante e curiosa; un’Italia
che, nell’aspettarci fuori da questi Palazzi, si vuole bene e che ci tiene a presentarsi bene. Un’Italia
che non ci segue per un motivo: perché è avanti a noi. È avanti a noi: siamo noi a doverla rincorrere
e doverla recuperare. È l’Italia che forse si sta stancando di aspettarci, e vi propongo, vi
proponiamo, come Governo, di fare di tutto per raggiungerla attraverso un pacchetto di riforme che
parta e consideri il semestre europeo come la principale opportunità, che affronti prima del semestre
europeo le scelte legate alle politiche sul lavoro, sul fisco, sulla pubblica amministrazione, sulla
giustizia, che metta al centro il valore della scuola, ma che parta naturalmente dalle riforme
costituzionali, istituzionali ed elettorali, sulle quali si è registrato un accordo che va oltre la
maggioranza che sostiene questo Governo, e per il quale noi non possiamo che dire che gli accordi
li rispetteremo nei tempi e nelle modalità prestabilite.
Pensiamo però che si debba partire da un presupposto. Il presupposto è che eravamo ad un bivio: o
si andava alle elezioni, più o meno… (Commenti dal Gruppo M5S). Noi non abbiamo paura di
andare alle elezioni.
VOCE DAL GRUPPO M5S. Bravo!
RENZI, presidente del Consiglio dei ministri. Siamo abituati, come partito… (Applausi ironici dal
Gruppo M5S). Dico ai senatori del Movimento 5 Stelle, che imparo ad apprezzare in quest’Aula,
che sono il segretario di un partito politico che non ha mai paura di candidarsi alle elezioni: anche
dove i sondaggi dicono il contrario, come in Sardegna (Applausi dal Gruppo PD),anche dove c’è
difficoltà, noi non abbiamo paura di andare alle elezioni, e in questo primo anno di vita
parlamentare, in cui abbiamo ricevuto da voi presunte lezioni di democrazia, vi segnalo, gentili
senatrici ed egregi senatori, che nelle quattro elezioni regionali che si sono svolte – quelle della
Sardegna, della Basilicata e delle Province di Trento e Bolzano – il Partito Democratico si è sempre
presentato e ha sempre vinto. Non posso dire la stessa cosa per voi. (Applausi dal Gruppo PD).
Non abbiamo paura di andare alle elezioni. Noi abbiamo nel nostro DNA la volontà e il desiderio di
confrontarci, ma il passaggio elettorale che ci avrebbe atteso in queste ore era un passaggio
elettorale nel quale, stante la legge elettorale uscita dalla sentenza della Corte costituzionale, si
sarebbe riprodotto uno schema che è quello che avrebbe portato ad un sostanziale Governo di larghe
intese.
Non vi è chi non veda che non sarebbe stato possibile per alcuno ottenere la maggioranza necessaria
a governare nei due rami del Parlamento senza una modifica delle regole del gioco, e noi abbiamo
proposto, dal primo giorno, che le regole del gioco fossero scritte da tutti, anche da chi prima ha
alzato la voce. Pensiamo infatti, pensavamo e penseremo che sia un valore condiviso che dopo
vent’anni in cui, prima la sinistra, poi la destra, prima il centrosinistra e poi il centrodestra, quando
si è trattato di scrivere le regole costituzionali hanno proceduto a maggioranza – il centrosinistra nel
2001, il centrodestra nel 2006 – con la legge elettorale connessa, che scrivere le regole del gioco
insieme sia il valore fondamentale e costitutivo del rispetto delle istituzioni.
Proveremo a farlo, ma in una legislatura alla quale abbiamo allungato l’orizzonte politico. Certo,
non quello costituzionale e istituzionale, che è fissato, come è naturale, nel 2018. Arrivare però al
2018 ha un senso soltanto se avvertiamo l’urgenza da cui sono partito nel mio intervento, che è
l’urgenza di un cambiamento radicale per cui, mentre i tempi della politica sembrano dilatati, le
persone che la mattina accompagnano i figli a scuola non possono permettersi rinvii.
Mentre la politica – lasciatevelo dire da un sindaco – da Roma sembra una politica nella quale la
dilazione è costante; una politica nella quale si può anche rinviare al giorno dopo, si può allungare il
tempo della decisione senza fine, si può rimandare l’urgenza dei provvedimenti; mentre fuori da qui
questo sembra naturale, quando poi si va nella vita di tutti i giorni, quando si va a parlare con le
persone che faticano anche semplicemente a conciliare i propri orari, anche semplicemente a
conciliare la propria quotidianità di vita, il senso dell’urgenza, del tempo che non può passare
invano, diventa un elemento centrale.
Ecco perché noi proponiamo a questo Senato di uscire dal genere letterario che i talk show hanno
sostanzialmente sdoganato, un genere letterario per il quale non vi è trasmissione che non parta da
un giudizio impietoso sulla situazione italiana, e poi con un servizio di una troupe all’estero che
racconta come all’estero invece le cose vanno perfettamente bene e tutto sia straordinariamente
bello e felice. Ormai è diventato un focus letterario; ormai noi abbiamo come punto di riferimento il
fatto che nelle trasmissioni televisive, nei talk show, fuori da qui, fuori dall’Italia, tutto va bene e da
noi tutto va male: non è così.
Usciamo dal coro della lamentazione; proviamo a immaginare un percorso concreto in cui la
differenza tra sogno e obiettivo – ha detto qualcuno – è una data. Diamoci delle scadenze e troviamo
ad allungare il lavoro di questi anni dando concretamente dei passaggi puntuali. Questo consente di
arrivare al 1° luglio – qualcuno dice – avendo fatto i compiti a casa; questo consente di arrivare,
cioè, all’appuntamento con il semestre europeo dando un valore non meramente formale a
quell’appuntamento, ma dandogli un valore sostanziale.
Non tedierò la vostra pazienza con un’analisi, che pure sarebbe doverosa (ma non mancheranno
altre occasioni), sulla situazione di profondo sconvolgimento istituzionale internazionale.
MARTON (M5S). Bravo!
RENZI, presidente del Consiglio dei ministri. Su come il mondo fuori dall’Italia stia cambiando e
come paradossalmente questo mondo riduca lo spazio dell’Europa, riduca il margine di potere che
l’Europa ha. Non vi tedierò su questo, ma penso di avere il dovere di dire al Senato della Repubblica
che se vogliamo immaginare che il semestre europeo sia una cosa seria noi dobbiamo raccontare,
spiegare, pensare che tipo di Europa immaginiamo nella cornice internazionale che sta mutando.
Non possiamo immaginare che il semestre europeo sia semplicemente l’occasione per fare le
nomine per le nuove istituzioni. (Commenti dal Gruppo M5S). Abbiamo bisogno di raccontare che
cosa significhi l’Europa nel mondo che cambia.
DIVINA (LN-Aut). Ce lo vuole raccontare?
RENZI, presidente del Consiglio dei ministri. Questo è il punto centrale del semestre europeo, e
non saremo credibili se non riusciremo ad arrivare al semestre europeo avendo sistemato ciò che
dobbiamo sistemare noi.
Capisco che in quest’Aula, come alla Camera, come nell’opinione pubblica, ci sia la facile tendenza
a considerare l’Europa la madre dei nostri problemi. Vorrei dire non soltanto che per me e per il
Governo che ho l’onore di presiedere non è così, ma che nella tradizione europea-europeista sta la
parte migliore dell’Italia (Applausi dai Gruppi PD e PI), che nella tradizione europea-europeista, nei
valori di libertà e democrazia sta la certezza che l’Italia ha un futuro e non soltanto un passato. E
quando penso a quell’uomo che in un’isoletta immaginava gli Stati Uniti d’Europa mentre infuriava
il conflitto (Applausi dai Gruppi PD e PI), quando penso a quell’uomo che, in un momento di
difficoltà per il nostro Continente e di confronto fratricida, riusciva a intuire, a immaginare, in
qualche modo a profetizzare in modo laico una visione degli Stati Uniti d’Europa, mi sento
orgoglioso di essere appartenete alla storia italiana.
Il punto è che mettere a posto le cose di casa nostra non deriva da un obbligo europeo: non è la
signora Merkel o il governatore Draghi a chiedere di essere seri con il nostro debito pubblico: è il
rispetto che dobbiamo ai nostri figli, alle generazioni che verranno (Applausi dai Gruppi PD, PI e
NCD); è il rispetto che dobbiamo alle persone che verranno dopo di noi che ci impone di guardare
ai conti pubblici in modo diverso da come è stato fatto da chi ha scialacquato nel corso degli ultimi
decenni.
Questo è il punto centrale. E se noi siamo in condizione di arrivare al 1° luglio avendo affrontato i
temi costituzionali, istituzionali, elettorali, di lavoro, di fisco, di pubblico impiego, di giustizia e
impostato un diverso atteggiamento verso la scuola, propongo a questo Senato e alla Camera dei
deputati di essere in grado di vivere il semestre europeo come l’occasione in cui guidare le
istituzioni dell’Europa per sei mesi studiando una proposta affinché nei prossimi vent’anni potremo
guidare l’Europa politicamente, in un percorso che riguarda i nostri figli e che è uno dei punti
centrali della credibilità delle istituzioni.
Se questo è vero, ho il dovere di entrare nel merito delle modalità con cui questo atteggiamento
deve diventare realtà. Ho anche il dovere di dirvi che la subalternità culturale con la quale, troppo
spesso, si è considerata l’Europa come la nostra matrigna è una subalternità culturale della quale
possiamo liberarci solo noi. Non possiamo immaginare che qualcun altro risolva i nostri problemi.
Noi viviamo in un momento in cui la «generazione Erasmus», che tra l’altro è rappresentata al
Governo, ha conosciuto il sogno degli Stati Uniti d’Europa come concretezza, che ha conosciuto
l’euro come unica moneta o quasi. Di fronte a questa generazione, noi avvertiamo il bisogno di
indicare una prospettiva di futuro e non di vivere di rimpianti e di ricostruzioni fasulle del passato.
Propongo a questo Senato di essere la legislatura della svolta. Avrei preferito che questo passaggio
fosse stato preceduto da un chiaro mandato elettorale.
MARTON (M5S). Bravo!
RENZI, presidente del Consiglio dei ministri. Ma sappiamo come sono andate le elezioni. Oggi
proponiamo di essere nella condizione di valutare una scelta politica. Non vi sorprenderà il fatto che
in questo Governo sono rappresentati i segretari dei maggiori partiti, perché questo è un Governo
politico e noi pensiamo che la parola “politica” non sia una parolaccia. (Applausi dal Gruppo PD).
Noi pensiamo di poter andare nelle piazze a dire che la politica che noi abbiamo in testa è reale,
vera e precisa. Noi pensiamo che non ci sia politica alcuna che non parta dalla centralità della
scuola. (Commenti dal Gruppo M5S).
Mi piacerebbe che chi ha la presunzione di avere la verità in tasca avesse la possibilità di
confrontarsi con le insegnanti delle scuole e le famiglie nella loro vita di tutti i giorni, perché l’idea
che da questa parte ci sia la casta e dall’altra ci siano i cittadini si è un po’ rovesciata. Lo dico a una
parte di questo Parlamento. (Commenti dal Gruppo M5S). Chi di noi tutti i giorni ha incontrato
cittadini, insegnanti, educatori e mamme sa perfettamente che c’è una bellissima e straordinaria
richiesta che è duplice. Da un lato si chiede di restituire valore sociale all’insegnante, e questo non
ha bisogno di alcuna riforma, ma di un cambio di forma mentis.
MUSSINI (M5S). Ha bisogno di soldi!
RENZI, presidente del Consiglio dei ministri. Non ha bisogno di denaro, riforme, commissioni di
studio: c’è bisogno del rispetto che si deve a chi quotidianamente va nelle nostre classi e assume su
di sé il compito struggente e devastante di essere collaboratore della creazione di una libertà, della
famiglia e delle agenzie educative. Il compito di un insegnante è straordinario. Ci avete mai parlato
con gli insegnanti e ascoltato quello che dicono oggi? (Commenti dal Gruppo M5S).
PRESIDENTE. Ci sarà modo di esprimere il proprio dissenso durante la discussione. Lasciate
parlare.
RENZI, presidente del Consiglio dei ministri. Spero che il Presidente del Senato mi consenta di
formulare questo invito ai senatori del mio partito: ricordiamoci sempre che svolgiamo una
funzione sociale, tesa a recuperare le difficoltà che stanno incontrando in questo momento i senatori
e le senatrici del Gruppo del Movimento 5 Stelle nei confronti della propria base e dell’opinione
pubblica che li sostiene. (Applausi dal Gruppo PD e dei senatori Susta e Merloni). Non è facile
stare in un partito in cui c’è un capo che dice: «Io non sono democratico». Quindi, vogliamogli bene
anche se loro non ne vogliono a noi. (Applausi dal Gruppo PD. Commenti dal Gruppo M5S). Io non
ho fretta. Vado avanti.
PRESIDENTE. Per favore, senatori.
RENZI, presidente del Consiglio dei ministri. Parlavo degli insegnanti. (Commenti della senatrice
Lezzi). Qual è la priorità che questo Paese ha nei confronti degli insegnanti? Sicuramente lo sa il
Ministro dell’istruzione pubblica e dell’università: coinvolgere dal basso in ogni processo di riforma
gli operatori della scuola. Non c’è dubbio. Ma c’è una priorità a monte: recuperare quella fiducia,
quella credibilità, recuperare quella dimensione per cui se qui si fanno le cose, allora nelle scuole si
può tornare a credere che l’educazione sia davvero il motore dello sviluppo. Ci sono fior di studi di
economisti che dimostrano come un territorio che investe in capitale umano, in educazione, in
istruzione pubblica è un territorio più forte rispetto agli altri.
Da Presidente del Consiglio io entrerò nelle scuole, una volta ottenuta – se così sarà – la fiducia dal
Senato e dalla Camera. Mercoledì mattina, come faccio tutte le settimane, mi recherò in una scuola
(la prima sarà un istituto di Treviso, perché ho scelto di partire dal Nord-Est, mentre la settimana
prossima andrò in una scuola del Sud), e lo farò perché penso che sia fondamentale che il Governo
non stia soltanto a Roma, e quindi mi recherò nelle scuole, come facevo da sindaco, per dare un
segnale simbolico, se volete persino banale, per dimostrare che da lì riparte un Paese. Dalla capacità
di educare, di tirare via, di tirare fuori (nel senso latino del termine) nasce la credibilità di un Paese,
ma per farlo c’è bisogno della capacità di garantire una concretezza amministrativa.
Con quale credibilità possiamo dire questo se continuiamo a tenere gli investimenti nell’edilizia
scolastica bloccati da un Patto di stabilità interno che almeno su questa parte va cambiato subito?
Come si può pensare che il Comune, la Provincia abbiano competenza sull’edilizia scolastica senza
però avere la possibilità di spendere soldi che sono lì bloccati perché esistono norme che si
preoccupano della stabilità burocratica ma non si rendono conto della stabilità delle aule in cui
vanno a studiare i nostri figli? (Applausi dai Gruppi PD, Aut (SVP, UV, PATT, UPT)-PSI-MAIE, PI
e SCpI). Come è possibile che non ci sia chiarezza su questo aspetto?
Domani scriverò una lettera ai miei colleghi sindaci, oltre 8.000, per chiedere a tutti loro e ai
Presidenti delle Province sopravvissuti (Commenti dal Gruppo LN-Aut) di fare il punto della
situazione sull’edilizia scolastica, seguendo un bellissimo ragionamento del senatore Renzo Piano.
Non so chi di voi ha avuto modo di conoscere le parole, a mio giudizio straordinarie, che Renzo
Piano ha pronunciato pochi giorni fa in un’intervista. Piano ha invitato a rammendare i nostri
territori, a rammendare le periferie. Credo sia un’espressione molto bella, che dà il senso di ciò di
cui abbiamo bisogno. Noi abbiamo bisogno di intervenire nell’edilizia scolastica dal 15 giugno al 15
settembre, con un programma straordinario – dell’ordine di qualche miliardo di euro, e non di
qualche decina di milioni – da attuare sui singoli territori, partendo dalle richieste dei sindaci e
intervenendo in modo concreto e puntuale. Ma come? Di fronte alla crisi economica parti dalle
scuole? Sì: di fronte alla crisi economica non puoi non partire dalle scuole. Di fronte alla crisi
economica partire dalle scuole significa partire, innanzitutto, da una tregua educativa con le
famiglie e da un intervento nell’edilizia e nella infrastrutturazione scolastica su cui, nelle prossime
settimane, vedrete concreti risultati.
È chiaro che il tema della scuola è parziale rispetto al grande tema dell’educazione. Si inizia con gli
asili nido. Gli Obiettivi di Lisbona vedono oggi un Paese drammaticamente diviso in due, tra una
parte dell’Italia che ha già raggiunto quegli obiettivi (con alcune città che stanno sopra il 40 per
cento) e una parte dell’Italia che veleggia su percentuali drammatiche. Alcune non arrivano neanche
a doppia cifra: mi riferisco al numero dei bambini che frequentano gli asili nido.
Non è un tema da addetti ai lavori. È il tema vero nella vita di tutti i giorni. (Applausi dal Gruppo
PD). È il tema che si collega non necessariamente, ma parzialmente, al fatto che abbiamo la
condizione di disoccupazione femminile più alta d’Europa. Ed è inaccettabile in una cornice come
quella in cui stiamo vivendo. (Applausi dai Gruppi PD, SCpI e Aut (SVP, UV, PATT, UPT)-PSI-
MAIE)). È un tema che si collega al fatto che un bambino che non frequenta l’asilo nido ha
un’occasione in meno rispetto a un suo coetaneo di un altro Paese.
Però, non vorrei che questo facesse venir meno un giudizio sulle priorità che riguardano la
condizione economica. Metto a verbale che la scuola è il punto di partenza, e intervengo sulle
quattro riforme che vi proponiamo, che vi proporremo nelle prossime settimane e nei prossimi mesi,
e la cui urgenza è l’elemento che detta la scansione temporale dei prossimi mesi e dei prossimi anni,
e anche il cambio che noi abbiamo fatto all’interno del Governo.
Cambio che non può in alcun modo oscurare i risultati che ha ottenuto il Governo precedente. E
fatemi rivolgere un pensiero particolare al Presidente del Consiglio uscente, l’onorevole Enrico
Letta. (Applausi dai Gruppi PD, PI, SCpI, NCD e Aut (SVP, UV, PATT, UPT)-PSI-MAIE).
Viviamo una situazione in cui… (Commenti dal Gruppo M5S). Dicevano che al Senato non vi
divertivate: invece, vi vedo sereni. Vi garantisco che vi divertirete sempre di più!
Dal 2008 al 2013, mentre qualcuno si divertiva, il PIL di questo Paese ha perso 9 punti percentuali.
La disoccupazione giovanile è passata dal 21,3 al 41,6 per cento.
VOCI DAL GRUPPO M5S. Lo sappiamo!
RENZI, presidente del Consiglio dei ministri. La disoccupazione è passata dal 6,7 per cento al 12,6
per cento, in base all’ultimo dato. Non sono i numeri di una crisi: sono i numeri di un tracollo…
(Commenti dal Gruppo M5S).
VOCI DAL GRUPPO PD. Presidente, ora basta!
PRESIDENTE. Non ammetto commenti ora. Ci sarà tempo, durante la discussione e le
dichiarazioni di voto.
RENZI, presidente del Consiglio dei ministri. Non si tratta di rispondere semplicemente con dei
numeri a numeri. La crisi ha il volto di donne e di uomini, e non di slides.
Chi ha avuto modo di conoscere le dinamiche delle crisi aziendali, chi ha stretto la mano al
cassintegrato, chi è entrato, perché faceva il sindaco, in una fabbrica o chi ha visto, da parlamentare
e da senatore, e ha ricevuto delegazioni di lavoratrici e di lavoratori sa perfettamente che la crisi non
è un numerino.
Però questo numero è impietoso. Però questo numero è devastante. Però questo numero impone un
cambio radicale delle politiche economiche.
Il cambio radicale delle politiche economiche passa innanzitutto da alcuni provvedimenti concreti
che, con il ministro Padoan, abbiamo discusso e che approfondiremo nel corso delle prossime
settimane.
Il primo elemento su cui prendiamo un impegno è lo sblocco totale – non parziale – dei debiti della
pubblica amministrazione attraverso un diverso utilizzo della Cassa depositi e prestiti. (Applausi dai
Gruppi PD e Aut (SVP, UV, PATT, UPT)-PSI-MAIE).
Il secondo elemento che mettiamo immediatamente all’ordine del giorno è la costituzione e il
sostegno di fondi di garanzia, anche attraverso un rinnovato utilizzo della Cassa depositi e prestiti,
per risolvere l’unica reale, importante e fondamentale questione che abbiamo sul tappeto, che è
quella delle piccole e medie imprese che non riescono ad accedere al credito. (Applausi dal Gruppo
PD).
Il terzo punto che poniamo immediatamente alla vostra attenzione – lo faremo nelle prossime
settimane – è una riduzione a doppia cifra del cuneo fiscale, attraverso misure serie e irreversibili,
legate alla revisione della spesa, che porterà nel corso dei primi mesi del primo semestre del 2014 a
vedere dei risultati immediati e concreti.
Su questi tre impegni siamo nelle condizioni di non offrire parole, ma interventi precisi e puntuali.
Basta? No! Non basta (sono il primo a dirlo), e non perché la parte delle regole e della normativa
non sia una parte importante. Nessun decreto crea, attraverso le regole, posti di lavoro: al massimo
può accadere che faccia allontanare dei posti di lavoro (ma questa è un’altra storia).
Noi partiremo, entro il mese di marzo, con la discussione parlamentare del cosiddetto Piano per il
lavoro, che, modificando uno strumento universale a sostegno di chi perde il posto di lavoro,
interverrà attraverso nuove regole normative, anche profondamente innovative. Infatti, se non
riusciamo a creare nuove assunzioni, il problema delle garanzie dei nuovi assunti neanche si pone.
Immaginiamo però di intervenire in modo strutturale nella capacità di attrarre investimenti in questo
Paese, investimenti che negli ultimi anni, purtroppo, in virtù della crisi, sono profondamente
diminuiti, arrivando ai 12 miliardi dello scorso anno. C’è un dibattito surreale intorno a questo tema.
Sembra che l’interesse nazionale impedisca l’attrazione degli investimenti. Sembra che, quando un
soggetto vuole investire in Italia, questo debba essere cacciato al grido di «guai allo straniero!». Un
Paese vivo, ricco, aperto e curioso non ha paura di attrarre investimenti: li va a cercare e fa di tutto
per agevolare l’investimento da parte di soggetti che vengono dall’esterno. Da sindaco potrei
parlarvi della madre di tutte le privatizzazioni: la privatizzazione del Nuovo Pignone, che negli
Novanta ha visto un incredibile aumento delle performance da parte del suo acquirente (gli
americani di GE) e che oggi consente di aver moltiplicato per 7 i posti di lavoro.
L’interesse nazionale non è il lancio di agenzia del deputato o senatore in cerca di visibilità:
l’interesse nazionale è il posto di lavoro che si crea, è una famiglia che riesce a uscire dalla
situazione di disoccupazione. L’interesse nazionale che ha questo Paese è quello di migliorare la sua
attuale posizione nella classifica internazionale: siamo al penultimo posto nella classifica OCSE –
correggetemi se sbaglio – per la capacità di attrazione, mentre siamo al 126° posto nel «Doing
business index» della World Bank. Questo ci porta ad essere percepiti all’esterno solo come un
Paese meraviglioso in cui andare in vacanza. Ma c’è un Paese potenzialmente più attrattivo del
nostro? C’è un Paese che può coniugare la qualità del vivere bene con la capacità di tenere in piedi
la genialità, l’intuizione, l’innovazione da parte delle lavoratrici e dei lavoratori?
Vi sembra possibile che, mentre nel mondo le startup e le grandi aziende innovative, dagli Stati
Uniti a Israele, vivono, crescono (in alcuni casi anche muoiono, perché questo è il destino delle
startup), in una dimensione straordinariamente innovativa, noi siamo invece fermi ad un principio
per il quale, tra conferenze dei servizi, soprintendenze e freni burocratici, prima di riuscire a portare
a casa un risultato concreto, come quello dell’apertura di un capannone, viviamo dei tempi che sono
biblici?
Ma non sentite quanto stride, nella concretezza di tutti i giorni, l’urgenza da cui siamo partiti a
fronte invece delle difficoltà che la macchina pubblica mette nei paletti a chi vuole venire a
investire? Occorre un Paese semplice e coraggioso sul lavoro, un Paese che non abbia paura – lo
sottolineo – ad affrontare in modo diverso il rapporto con la pubblica amministrazione.
Mi permetterete di dire – e so che potrà sembrare persino provocatorio – che vi sono settori dello
Stato che vivono le peripezie della politica con apparente rispetto, ma con un sostanziale
retropensiero: i Governi passano, i dirigenti restano. Talvolta mi è venuto in mente di pensare che
sarebbe meglio il contrario, ma in realtà non è così, sarebbe una forma eccessiva. Credo però che sia
civile un Paese che afferma la contestualità tra l’espressione popolare del Governo del Paese e la
struttura dirigente della macchina pubblica. (Applausi dai Gruppi PD, NCD e SCpI e del senatore
Fazzone). In altri termini, credo sia arrivato il momento di dire con forza che una politica forte è
quella che affida dei tempi certi anche al ruolo dei dirigenti e che non può esistere, fermi e salvi i
diritti acquisiti, la possibilità di un dirigente che rimane a tempo indeterminato e che fa il bello e il
cattivo tempo.
Non siamo per sottrarre responsabilità ai dirigenti: siamo per dargliele tutte. Vorremmo che la
parola accountability trovasse una traduzione in italiano, perché vi sono le responsabilità erariali,
quelle penali e quelle civili, però non ve n’è una da mancato raggiungimento degli obiettivi, se non a
livello teorico: questa, però, è una sfida di buon senso, che nell’arco di quattro anni può essere vinta
e affrontata se partiamo subito e se abbiamo anche il coraggio – lasciatemelo dire – di far emergere
in modo netto, chiaro ed evidente che ogni centesimo speso dalla pubblica amministrazione debba
essere visibile on line da parte di tutti. (Applausi dal Gruppo PD e dei senatori Di Biagio e Ichino).
Questo significa non semplicemente il Freedom of Information Act, ma un meccanismo di
rivoluzione nel rapporto tra cittadini e pubblica amministrazione tale per cui il cittadino può
verificare giorno dopo giorno ogni gesto che fa il proprio rappresentante.
Non è soltanto questo, ovviamente, il processo di riforma della pubblica amministrazione che
presenteremo prima delle elezioni, ma vogliamo anche a tutti i costi intervenire sul fisco, attraverso
l’utilizzo della delega fiscale che il Parlamento ha affidato, che riteniamo debba caratterizzarsi per
alcune caratteristiche chiaramente visibili da parte dei cittadini. Riuscire ad inviare a tutti i
dipendenti pubblici ed ai pensionati direttamente a casa, magari attraverso uno strumento di
tecnologia semplice – visto che il Papa ha detto che Internet è un dono di Dio, possiamo smettere di
considerarlo come il nostro ostacolo o come un problema – la dichiarazione dei redditi
precompilata. Si tratta di una proposta concreta e puntuale che nel corso delle consultazioni
abbiamo ricevuto e recepito, che può immediatamente mostrare come cambia il rapporto tra
cittadino e pubblica amministrazione.
Se il fisco smette di essere il nemico e di essere ostile, se smette di essere un fisco che fa paura e
diventa uno spauracchio, ma assume i connotati di una sorta di consulenza che fa al cittadino – salvo
poi quando accade che qualcuno davvero commette reati o comunque è passibile di sanzioni
amministrative, perché allora la repressione dev’essere durissima – esso assumerà connotati diversi,
tali da far uscire i cittadini dal pregiudizio per il quale sembra sempre che chi è famoso e potente
comunque la sfanga, mentre chi ha a che fare con una cartella esattoriale – un milione di errori
formali, tanti ve ne sono! – vive il rapporto con la pubblica amministrazione come un’angoscia.
E questo non può che condurci naturalmente verso il quarto e ultimo punto che voglio citare: quello
relativo alla giustizia.
Abbiamo vissuto 20 anni di scontro ideologico su questo tema. Può piacere o meno. Non credo che
alcuno, dopo 20 anni, convincerà l’altra parte della bontà delle proprie opinioni. Dopo 20 anni credo
che le posizioni siano calcificate, siano intangibili, che nessuno possa convincere l’altro che si è
compiuto un errore, o che si è fatto bene.
Credo sia arrivato il momento di mettere nel mese di giugno (sarà compito del Ministro
competente) all’attenzione di questo Parlamento un pacchetto organico di revisione della giustizia
che non lasci fuori niente.
Parto dalla giustizia amministrativa. Siamo un Paese in cui – lasciatevelo dire da chi costantemente
ci batte la testa – lavorano più, negli appalti pubblici, gli avvocati che i muratori. (Applausi dai
Gruppi PD e Aut (SVP, UV, PATT, UPT)-PSI-MAIE e dei senatori Carraro, Dalla Zuanna e Di
Biagio).
Negli appalti pubblici non c’è alternativa al ricorso sul controricorso con la sospensiva. Siamo al
punto che i tribunali amministrativi regionali discettare di tutto. Siamo al punto che un
provvedimento di un sindaco (in alcuni casi, anche del Parlamento) è comunque costantemente
rimesso in discussione in una corsa ad ostacoli impressionante.
Ma come possiamo dare certezza del diritto se noi per primi abbiamo un sistema (sono partito da
quello amministrativo) che crea inquietudine non già soltanto agli investitori stranieri, ma agli stessi
operatori del diritto, a partire dai giudici amministrativi che in più circostanze hanno sottolineato la
necessità di riforme strutturali?
La giustizia civile. Oggi noi viviamo un tempo nel quale, nella celerità dei processi, la lunghezza
del processo civile, le difficoltà del processo civile sono tali per cui non soltanto se ne vanno gli
investimenti (ed è un problema), ma se ne va anche la possibilità di credere realmente che il Paese
sia redimibile, che il Paese sia recuperabile.
C’è questa stanca rassegnazione per cui si parte dal presupposto che tanto quando si entra in un’aula
di tribunale non si sa come se ne esce. Questo vale anche per la giustizia penale con ciò che
comporta. Non c’è ombra di dubbio che a fronte della straordinaria qualità di tantissime donne ed
uomini che lavorano nel campo della giustizia (a partire dai giudici, per passare agli avvocati, agli
operatori della giustizia e di Polizia giudiziaria), esiste una preoccupazione costante nell’opinione
pubblica (a prescindere dalle discussioni che sono state oggetto per 20 anni di dibattito politico) sul
fatto che la giustizia in Italia corra il rischio di arrivare troppo tardi ed anche – permettetemi – di
colpire in modo diverso.
Faccio un esempio. Il più banale, ma volutamente banale, agli occhi dell’opinione pubblica e
volutamente drammatico nel cuore di un amministratore che fa politica.
Non so se chi di voi si è occupato di amministrazione pubblica nelle realtà territoriali sa qual è il
momento più duro per un sindaco. Per me era quando l’SMS del comandante della Polizia
municipale mi informava che c’era stato un incidente stradale. Quando si verifica un incidente
stradale e muore un ragazzo di 17 anni il sindaco non ha semplicemente un compito amministrativo.
Il sindaco si trova faccia a faccia con il dolore di una famiglia che vede totalmente sconvolta la
propria vita. Mi è accaduto, lo sanno le senatrici e i senatori fiorentini, ed è accaduto a tanti di voi.
Dalla storia di una queste famiglie, da un percorso che abbiamo fatto insieme è emerso con
chiarezza che chi ubriaco e drogato si mette alla guida di un motorino causando il decesso di un
ragazzo di 17 anni (il ragazzo in questione si chiamava Lorenzo) alla fine in tribunale, per i motivi
più vari, gli viene comminata una sanzione inferiore, o sostanzialmente analoga, a quella
comminata per un furto di serie B.
Vi rendete conto cosa possa diventare incontrare nel giorno del 18° compleanno di Lorenzo i suoi
amici che festeggiano il suo compleanno senza di lui ricordandolo? Vi rendete conto di cosa possa
significare andare a dire che io rappresento le istituzioni?
E vi rendete conto che sguardo vi gettano addosso quelle ragazze e quei ragazzi, accusando la
politica di non essere capace di dare delle regole chiare, delle regole che non valgono
semplicemente un dibattito politico, ma che valgono la vita di un ragazzo come loro? Questa è la
vita reale che vorremmo informasse di più la discussione sulla giustizia: non, semplicemente, i
nostri derby ideologici, ma la necessità di fare della giustizia un asset reale per lo sviluppo del
Paese.
Se arrivano queste iniziative e questi provvedimenti, io credo che noi saremo nelle condizioni di
affrontare con maggiore decisione il passaggio del semestre europeo, ovviamente inserendole nel
contesto della riforma costituzionale ed elettorale.
Sono partito dalla provocazione, che provocazione non è: il superamento del Senato. Oggi il
procedimento legislativo è farraginoso: lo sapete meglio voi di me. Oggi il numero dei parlamentari
è eccessivo rispetto ai Paesi europei e al benchmark internazionale di riferimento: lo sapete meglio
voi di me. Oggi c’è la possibilità di superare l’attuale conformazione del Senato, mantenendo fermi
il no al voto di fiducia e il no al voto di bilancio e la possibilità di svolgere la funzione senatoriale,
non come incarico figlio di un’elezione diretta e con un’indennità, ma, come nel modello tedesco,
attraverso l’assunzione di responsabilità dai territori, impreziosito eventualmente – ci sono proposte
in questo senso – da ulteriori figure espressioni del mondo culturale, accademico ed universitario.
Questo tipo di proposta è il primo passo per recuperare la credibilità da parte dei cittadini nei nostri
confronti.
Quello immediatamente successivo è superare il Titolo V della Costituzione per come l’abbiamo
conosciuto fino ad oggi. Il Titolo V oggi ha la necessità di rivedere le competenze esclusive dello
Stato e delle Regioni e di introdurre la possibilità per le Regioni di legiferare in ogni materia che
non sia specificamente assegnata, ma contemporaneamente di introdurre una clausola di intervento
della legge statale anche in materie che siano esclusivamente assegnate alla competenza regionale
quando questo sia richiesto da esigenze di unità economica e giuridica dell’ordinamento.
Noi prendiamo atto che, in questi anni, il ricorso alla Corte costituzionale, non dico che ha ingolfato
la Corte, perché sarebbe scarsamente rispettoso delle Istituzioni, ma ha comunque provocato un
eccesso di tensione tra le Regioni e lo Stato. Se noi oggi diciamo che non possiamo sostituire e
tornare ad un centralismo della burocrazia statale, come ci siamo detti anche in occasione di questo
intervento, è anche altrettanto vero che abbiamo bisogno di chiedere alle donne e agli uomini che
guidano le Regioni e che ne fanno parte di prendere atto che è cambiato il clima nei confronti delle
Regioni. È
cambiato il clima sicuramente per ciò che è accaduto nel corso di questi anni in ordine ai rimborsi
elettorali, ma è accaduto anche che, troppo spesso, la sovrapposizione di competenze dei Comuni,
delle Province, delle Regione e dello Stato centrale con la linea europea a dare in qualche misura un
ulteriore elemento di complicazione, ha reso sostanzialmente ingovernabile il sistema istituzionale.
Noi proponiamo che, fin dal mese di marzo, la riforma del Senato parta del Senato e che la riforma
del Titolo V parta dalla Camera.
Quanto all’accordo sulla legge elettorale – il cosiddetto Italicum -, comprendiamo l’esigenza di
valorizzare il fatto che una legge elettorale che consenta il ballottaggio sia ovviamente impostata
sulla presenza di una sola Camera.
Contemporaneamente, sappiamo perfettamente che l’Italicum è pronto per essere discusso alla
Camera. E noi, da questo punto di vista, consideriamo l’Italicum non soltanto una priorità, ma una
prima parziale risposta all’esigenza di evitare che la politica perda ulteriormente la faccia. Mi
spiego: con quale credibilità possiamo dire che è urgente intervenire sulla legge elettorale e poi
perdere l’occasione del contingentamento che abbiamo trovato? Certo, noi affermiamo che
politicamente esiste un nesso netto tra l’accordo sulla legge elettorale, la riforma del Senato e la
riforma del Titolo V: sono tre parti della stessa faccia.
Però vorrei dire due cose su questo. Mi rivolgo al gruppo delle opposizioni, e in particolar modo
alle opposizioni che hanno accettato di stare nel dibattito sulle riforme costituzionali e che non
fanno parte però della maggioranza di Governo. Noi abbiamo un tema aperto, e ne abbiamo parlato
durante le consultazioni con il senatore Romani, che è quello del superamento delle Province. Il
disegno di legge Delrio è oggi nelle condizioni di poter impedire che il 25 maggio si voti per le
Province.
C’è un’opposizione dura anche in quest’Aula, immagino; c’è stata alla Camera, dove si è saldata
un’opposizione, per certi aspetti persino una forma di ostruzionismo, tra Forza Italia e il Movimento
5 Stelle. Noi invitiamo a riflettere su una possibile soluzione semplice, evidente, alla portata di tutti
noi. Nel rispetto delle diverse posizioni chiudiamo il disegno di legge Delrio e impediamo di votare
il 25 maggio per le Province, ma nella discussione sul Titolo V riapriamo fra di noi la discussione
su cosa debbono essere le Province. Mi pare un punto equilibrato, perché dimostra che noi sul tema
delle Province non possiamo perdere il passaggio che è aperto davanti a noi. Volete davvero
rivotare il 25 maggio per 46 istituzioni provinciali? Chi si assume la responsabilità di dire che
questo non è un costo e, soprattutto, non è una perdita di opportunità? Vogliamo tornare
all’ennesimo TAR che interviene giudicando illegittima l’una o l’altra misura? Esiste lo spazio per
chiudere questo passaggio in modo rapido.
Il secondo punto sulle riforme è il seguente. Noi vogliamo sfidare il Parlamento; non consideriamo
il Parlamento un inutile orpello. Noi siamo pronti a recuperare, nell’ambito di una cornice condivisa,
tutti i miglioramenti possibili. Noi non abbiamo l’idea di venire a dettare la linea e di aspettare che
rapidamente si esegua nelle Aule parlamentari. Ma stiamo scherzando? Però, vi chiediamo di farvi
carico, insieme a noi, del fatto che i tempi non sono più una variabile indipendente; e che se non
iniziamo dalle riforme istituzionali e costituzionali e poi interveniamo nel pacchetto di riforme che
vi ho esposto nel corso dell’intervento, noi perdiamo la possibilità di essere considerati credibili non
tanto dai nostri partner europei, ma anche e soprattutto dai nostri concittadini.
Vado alla conclusione. Esistono numerosi provvedimenti, di cui abbiamo discusso in fase di
consultazione, che non sono rientrati nell’ambito di questa relazione programmatica, per scelta. Mi
piacerebbe raccontarvi quanto intendiamo investire sulla cultura come elemento identitario. So che
c’è una parte tra voi, onorevoli senatori e gentili senatrici, che ritiene che la parola «identità» sia in
qualche misura il baluardo contro la parola «integrazione». Non è così. Io credo che l’identità sia la
base per l’integrazione. Il contrario di integrazione non è identità: è disintegrazione.
Un Paese che non si integra non ha futuro. Ecco perché, a fronte di un dibattito culturale che ha
visto i diritti divenire oggetto di scontro (al punto che ciascuno di noi ha portato la propria
bandierina in tutte le campagne elettorali sul tema dei diritti, a destra come a sinistra, ma poi non si
è mai fatto niente), noi immaginiamo, con questo Governo e con il vostro aiuto, di trovare dei punti
di sintesi reali, che permettano a quella bambina che ha dodici anni e che frequenta la quinta
elementare…
BIGNAMI (M5S). La seconda media, semmai. (Commenti dal Gruppo M5S. Richiami del
Presidente).
RENZI, presidente del Consiglio dei ministri. Quella bambina che è nata nella stessa città in cui è
nata la sua compagna di banco, di avere la possibilità, dopo un ciclo scolastico, di essere
considerata italiana, esattamente com’è la sua compagna di banco. (Applausi dai Gruppi PD, Aut
(SVP, UV, PATT, UPT)-PSI-MAIE, SCpI e PI).
Ciascuno di noi ha una propria valutazione; se qualcuno di noi pensa che sarebbe giusto che quella
bambina fosse considerata italiana al momento della nascita, ma altri tra di noi pensano che occorra
almeno un ciclo scolastico, lo sforzo oggi non è affermare le proprie ragioni contro gli altri, ma
trovare il punto di sintesi possibile, così come sui diritti civili. Oggi una mia amica mi ha scritto:
«Se devi approvare una forma di unioni civili che non sia quella che vogliamo noi, allora non
approvarla». No, non è così: sui diritti si fa lo sforzo di ascoltarsi, di trovare un punto di sintesi.
Questo è un cambio di metodo profondo. (Applausi dai Gruppi PD, Aut (SVP, UV, PATT, UPT)-
PSI-MAIE, SCpI e PI).
Sui diritti si fa lo sforzo di trovare un compromesso anche quando questo compromesso non ci
soddisfa del tutto. Ci ascolteremo reciprocamente, ma la credibilità su questo tema sarà il punto di
caduta di un’intesa possibile, che già è stata costruita nel corso di questi giorni. Lo vedremo.
Sostenere, però, che l’identità è il contrario dell’integrazione significa fare a pugni con la realtà,
significa prendere a botte il niente.
Vorrei che ci mostrassimo reciprocamente le facce dei nostri ragazzi quando vanno in uno degli
eventi che organizzano gli enti territoriali o a visitare un museo di notte, quando si rendono conto,
cioè, che la cultura è qualcosa con cui si mangia, ossia qualcosa di cui si nutre l’anima. Quando dico
che si mangia con la cultura dico che, allora, bisogna anche avere il coraggio di aprirsi agli
investimenti privati nella cultura. (Applausi dai Gruppi PD, FI-PdL XVII, NCD e Aut (SVP, UV,
PATT, UPT)-PSI-MAIE).
Se si dice che è sbagliata la frase che con la cultura non si mangia, bisogna anche avere il coraggio
di dire che la cultura deve aprirsi al coinvolgimento degli investimenti privati e creare posti di
lavoro.
Vorrei, però, mostrare a me stesso e a voi le facce e i volti di chi, in questi anni, ha avuto modo, ad
esempio, di vedere un museo di notte, ha avuto modo di farsi interrogare da un’opera d’arte, ha
avuto modo di provare ad ascoltare la bellezza della musica, non soltanto nelle scuole – dove va
portata o riportata in modo diverso – ma anche nella quotidianità.
In una qualsiasi realtà del mondo che non sia l’Italia, essere italiani è un dono. In una qualsiasi
realtà del mondo che non siano i nostri palazzi dei poteri, essere italiani è un elemento di bellezza
che non so quanto salvi il mondo, ma sicuramente salva l’export delle nostre aziende. In un qualsiasi
luogo che non sia l’angusta autoreferenzialità del nostro dibattito, i valori della cultura fanno di noi
una superpotenza mondiale.
Se noi non siamo nelle condizioni di comprendere che è il mondo piatto nel quale viviamo è un
mondo che paradossalmente ci offre delle opportunità senza fine, che possono unire i distretti
tecnologici con i beni culturali, che possono unire la capacità di investire sulle nuove generazioni
con l’esperienza, la saggezza e la bellezza dei più grandi, se noi non siamo in grado, su questo tema,
di essere concretamente operativi, perdiamo un pezzo del nostro patrimonio culturale ed economico.
È un pezzo della risposta alla crisi modificare le regole del gioco anche in questi settori.
Non ho parlato, ma non lo posso fare adesso, di come nel piano per il lavoro che presenteremo a
marzo ci sarà una sorta di piano industriale per i singoli settori: sulle energie alternative, intese non
semplicemente come il sussidio o l’intervento su un singolo settore, ma come il bisogno di andare a
inventarsi nuovi posti di lavoro; sulla chimica verde, sull’innovazione tecnologica applicata alla
ricerca, sugli investimenti veri e profondi che si possono fare contro il dissesto idrogeologico in un
Paese in cui abbiamo soldi bloccati e fermi – anche per responsabilità delle pubbliche
amministrazioni – che gridano vendetta, non soltanto per ciò che stanno vivendo in queste ore il
modenese o l’area di Olbia, ma anche per come in questi anni abbiamo dovuto vivere con il fiatone
certe emergenze che potevano essere affrontate in modo molto più semplice.
Ma davvero abbiamo ancora soldi fermi sulle casse di laminazione ed espansione, quando il mondo
che sta cambiando rende così semplice intervenire in questa situazione? Ma davvero in alcune realtà
del Paese ancora non sappiamo chi ha il potere di intervento sugli argini, per l’eccesso di funzioni
tra le Regioni, le Province, i Comuni, le autorità d’ambito? Davvero pensiamo che questi siano temi
di serie B, di cui non parlare perché dobbiamo confrontarci soltanto parlando tra di noi delle nostre
realtà quotidiane? Come facciamo a non prendere atto che anche su questo tema c’è bisogno di una
svolta reale?
Potrei continuare a lungo ma non lo farò. Mi limito a chiudere con l’espressione di un sentimento
personale. Ieri, arrivato a Palazzo Chigi, ho scelto di fare alcune telefonate simboliche, ma non solo
simboliche. Ho chiamato due nostri concittadini italiani che sono da troppo tempo bloccati a Nuova
Delhi per una vicenda assolutamente allucinante, per la quale garantisco l’impegno personale mio e
del Governo. (Applausi).
Ho chiamato una ragazza della mia età: si chiama Lucia, è di Pesaro. (Applausi dal Gruppo PD e
dei senatori Buemi, Casini e Susta). In questi giorni sta combattendo per un processo perché è stata
sfregiata in volto dal suo ex fidanzato ed è una delle persone a cui ho voluto far sentire la vicinanza
di questo Paese. (Applausi).
Ho chiamato – so che non vi interessa ma a me sì – un mio amico che ha perso il posto di lavoro
(Commenti dai banchi dei Gruppi LN-Aut e M5S). Credo che capire cosa significa incrociare lo
sguardo di un papà (per non dire un babbo) che ha perso il posto di lavoro e rendersi conto che il
tuo compito non è quello di star qui ad urlare, ma è cercare di dare delle risposte concrete per
cambiare le regole del gioco segni la differenza tra la sua propaganda, senatore, e la nostra politica.
(Applausi dai Gruppi PD, Aut, PI e SCpI e dei senatori Cassano, Fazzone e Liuzzi).
Tuttavia, ho scelto anche e soprattutto di pensare a cosa significhi per un ragazzo che oggi ha più o
meno la mia età il fatto che il Governo scelga di dire che questo è il momento della svolta radicale.
Mi sono cioè messo in testa di pensare a cosa possa significare per ciascuno di noi il fatto che non
soltanto noi oggi viviamo un momento di cambio del Governo, ma cosa questo cambio del Governo
significhi nella vita delle persone. Una signora, scherzando fino ad un certo punto (forse voleva
farmi un complimento), ieri uscendo dalla messa mi ha detto: «Certo, se fai il Presidente del
Consiglio tu, lo può fare veramente chiunque». Lei probabilmente voleva essere carina, non le è
venuto granché bene, o forse è la verità. Però ho pensato che questo è proprio vero, fino in fondo.
Io arrivo a questa responsabilità provenendo da un’esperienza politica innovativa, forte ed
autorevole quale quella del Partito Democratico, nella quale si è data la possibilità a una
generazione di sfidarsi; si è data la possibilità di provarci. Al mio partito va la mia gratitudine, come
naturalmente agli altri partiti che compongono la coalizione, come è doveroso che sia; tuttavia una
gratitudine particolare va al mio partito, che in un certo momento ha consentito di dire: se avete idee
giocatevela; se avete sogni, provate a mettervi in gioco.
Oggi noi siamo pieni di persone, di momenti, di vita, in cui è esattamente l’opposto, in cui ci dicono
«no, non si può fare, non si riesce a raggiungere il risultato». In cui ci dicono praticamente tutti,
sempre e comunque, che c’è un blocco, che l’Italia non esce dalla crisi, che il mutuo in banca non te
lo danno per acquistare casa, che, mentre fai l’apprendista, non hai neanche la possibilità di avere
quei soldi che ti servono per mangiarti una pizza e bere una birra. A questa generazione cosa
diciamo noi oggi qui? Noi oggi qui diciamo che l’Italia vuole diventare il luogo delle opportunità.
Non credo che ci siano pari opportunità nel fatto che ci sia la metà di donne nel Governo;
l’opportunità – permettetemi la battuta – è dispari, non è pari, ce ne è sola una. Noi abbiamo una sola
occasione: è questa. E noi vi diciamo, guardandovi negli occhi, che se dovessimo perdere, non
cercheremmo alibi. Se perderemo questa sfida, la colpa sarà soltanto mia. Deve finire infatti il
tempo in cui chi va nei palazzi del potere, poi, tutte le volte trova una scusa. Non ci sono più alibi
per nessuno e primo per me. (Applausi dai Gruppi PD, PI, e Aut (SVP, UV, PATT, UPT)-PSI-
MAIE).
In questo scenario però, lasciatemi concludere sul fatto che questa Italia delle possibilità è un’Italia
che oggi vede un Governo chiedervi la fiducia sulla base di un cambiamento radicale, immediato e
puntuale e che, però, contemporaneamente, offre tutto il meglio di quello che ha. L’idea che il
futuro dell’Italia non sia quello di essere il fanalino di coda dell’Europa, che il futuro dell’Italia non
sia stare a lamentarsi e piangere dalla mattina alla sera, che il futuro dell’Italia non sia
semplicemente raccontarci come le cose vanno male o perché non ci fanno lavorare. Il futuro
dell’Italia sta nelle qualità, nel genio, nell’intelligenza e nella curiosità di ciascuno di noi. Noi siamo
assolutamente certi che, mettendo tutti noi stessi in questa sfida, la possibilità di cambiare è reale,
concreta e immediata, purché ciascuno di noi viva il futuro non come un’incognita e purché
ciascuno di noi sappia che è il tempo del coraggio e che questo tempo del coraggio non esclude
nessuno e non lascia alibi a nessuno. (Applausi dai Gruppi PD, NCD e Aut (SVP, UV, PATT, UPT)-
PSI-MAIE, PI e SCpI. I senatori dei Gruppi PD, PI e SCpI si levano in piedi. Molte
congratulazioni).
PRESIDENTE. Ringrazio il Presidente del Consiglio dei Ministri.
Colleghi, per consentire al Presidente del Consiglio di recarsi alla Camera dei deputati e consegnare
il testo delle dichiarazioni programmatiche, la seduta viene sospesa e riprenderà prima possibile con
gli interventi in discussione generale secondo la ripartizione dei tempi già definita dalla Conferenza
dei Capigruppo.
A partire dalle ore 20 seguiranno in diretta televisiva la replica del Presidente del Consiglio e le
dichiarazioni di voto. Successivamente si procederà alla votazione nominale con appello. La seduta
è sospesa.