Di Laura Bercioux
Non è vero che al Sud non ci sono imprese innovatrici e tecnologiche. Certo non siamo la Silicon Valey ma abbiamo il nostro posto al sole. Antonio Ascione, ha messo su una realtà imprenditoriale con sede a Napoli e a Londra, che apre il mercato estero in Italia.
La Sua azienda si occupa di innovazione e tecnologia, Montezemolo la definì tra le prime in Italia: un’eccellenza campana. Cosa fate?
“SMS ENGINEERING è una azienda specializzata nel mercato dell’INFORMATION & COMMUNICATION TECHNOLOGY ed opera con lo scopo di fornire, ai propri clienti, soluzioni informatiche “CHIAVI IN MANO”, attraverso l’integrazione delle proprie competenze con le tecnologie dei maggiori player mondiali del mercato informatico. In poche parole, la SMS Engineering matura know-how, lo ingegnerizza, lo “pacchettizza” e lo rivende sotto forma di software o di sistema informativo integrato, cambiando mediamente ogni 3 anni il portafoglio di offerta. Negli ultimi anni, quelli della crisi mondiale, l’azienda ha gestito con successo molteplici cambiamenti che hanno portato il volume d’affari quasi a triplicare. Nel 2007, durante la presidenza di Montezemolo, è risultata tra le prime 9 aziende di Italia per qualità e innovazione e la prima nel Sud nella classe 0-50 dipendenti secondo Confindustria”.
Perché il Paese di Leonardo Da Vinci non riesce a “produrre tecnologia”: insomma un Bill Gates Italiano?
“In Italia la tecnologia si produce e anche a ottimi livelli. Basti pensare ad alcuni settori quali l’automobilistico, l’aeronautico, l’alimentare e quello della moda. Il nostro, però, sta diventando un paese chiuso, un paese che non attrae investimenti dall’estero e, quindi, un paese che difficilmente crea sinergie con attori internazionali. Esiste uno studio dell’ICE che rivela che, nella terra di Leonardo Da Vinci, il rapporto IDE/PIL è minore del 20% contro l’oltre 50% nel Regno Unito: l’Italia è all’ultimo posto nell’Unione Europea per attrattività degli investimenti esteri. Gli investimenti portano capitale e senza capitale è difficile fare ricerca e sviluppo e, quindi, produrre tecnologia”.
La fuga di cervelli dall’Italia può esserne la causa?
“Non sono d’accordo sul fatto che la fuga di cervelli sia un problema. Il problema esiste se il cervello fugge e non ritorna più. Quindi la soluzione non sta nel non esportare i nostri cervelli ma nel creare le condizioni affinché essi possano ritornare, portando con sé il bagaglio di esperienze che hanno accumulato all’estero. Ciò arricchirebbe molto anche il nostro patrimonio culturale”.
Fare impresa al Sud cosa significa?
“Significa avere meno infrastrutture, un costo del denaro più elevato, una densità di siti produttivi notevolmente inferiore rispetto al Nord Italia, la pressione della criminalità organizzata locale e il confronto con la burocrazia. E’ un cocktail micidiale di avversità. Eppure, al Sud esistono tante imprese che esportano i propri prodotti all’estero. Se l’imprenditore è in grado di cogliere le caratteristiche peculiari del nostro territorio, il turismo, le bellezze naturali e paesaggistiche, l’agricoltura, la disponibilità di giovani laureati con un’ottima preparazione trova gli giusti ingredienti per fare un’impresa di successo”.
Lei lavora con altri Paesi: quali sono i timori delle aziende estere ad investire in Italia?
“Senza alcun dubbio, i timori sono, prevalentemente, due: la lentezza della burocrazia e la non certezza della pena. Cito, in proposito, un esempio che conferma quanto appena sostenuto: un importante produttore di software, forse il più grande al mondo, ha aperto dei data center, ognuno dalle dimensioni di uno stadio da football, per offrire servizi Cloud in tutta Europa, dando così l’opportunità, a migliaia di giovani, di poter lavorare e formarsi su tecnologie avveniristiche. L’unico paese in cui non ha aperto alcuna struttura del genere è proprio l’Italia, disincentivato dalla mole di permessi e autorizzazioni che avrebbe dovuto richiedere”.
Si parla di riforma del lavoro, il Governo Renzi vacilla e si sofferma sull’articolo 18: cosa cambierà realmente nello scenario politico e quanto sud c’è nelle intenzioni dei Governo italiano?
“L’articolo 18 dello Statuto dei Lavoratori è il classico tabù che tutte le classi politiche temono di affrontare, perché si trovano a scontrarsi con i sindacati che alzano le barricate. Esso risale ad oltre 40 anni fa ed era stato cucito su un’Italia ben diversa da quella odierna. Va adeguato ai tempi moderni, soprattutto per favorire gli investimenti esteri nel nostro paese. E’ un ostacolo che bisogna superare rapidamente, per concentrarsi sulle reali esigenze delle imprese che, in realtà, prescindono dall’art. 18). La mia ricetta per la crescita del paese è semplice, ha 5 ingredienti: far ripartire gli investimenti pubblici nelle infrastrutture, sbloccare i pagamenti della pubblica amministrazione, favorire l’accesso al credito delle imprese, detassare le assunzioni e, infine, ridurre il costo del lavoro in capo all’impresa”.
Qualche giorno fa a Napoli ha partecipato all’evento per le Smart City dove ha parlato Clara Brenner, cosa ne pensa?
“Clara Brenner, CEO e fondatrice di Tumml.Org, un acceleratore statunitense di Startup innovative, operanti nel campo delle soluzioni per le Smart-Cities e l’Urban Redesign ha illustrato le potenzialità della tecnologia applicata al vivere quotidiano, riportando esempi come il sistema d’illuminazione intelligente, con ogni lampione pubblico collegato ad una rete di sensori che ne avvii l’accensione o lo spegnimento soltanto nel caso di passaggio pedonale; oppure pensiline intelligenti, per programmare spostamenti ad hoc con autobus e metrò, o, ancora, cellulari collegati ai parcheggi comunali, che abilitino il pagamento della sosta via internet. Progetti del genere potrebbero diventare un vero e proprio volano per ulteriori servizi al cittadino, posti di lavoro e, di conseguenza, determinare un rientro economico non trascurabile. La speranza è che la nostra classe politica non si faccia sfuggire un’occasione del genere”.
All’Onu Lei ha presentato un algoritmo: al Palazzo di Vetro l’Italia fa la sua figura. Com’è andata?
“Una esperienza unica e, per certi versi, irripetibile. Noi, piccola azienda,in una sala conferenze, con migliaia di posti a sedere, a spiegare la nostra idea di algoritmo, per generare dei codici per combattere il fenomeno della contraffazione a livello mondiale. Erano presenti delegati dell’Onu di moltissimi paesi e industriali europei e statunitensi. E’ un progetto enorme, fuori della nostra portata, che deve necessariamente avere come attore principale un ente non governativo. Lavoreremo per esserne parte attiva e indispensabile: sarebbe un ottimo risultato”.