“Sky non violerà mai la privacy dei propri abbonati. La richiesta della Rai di avere accesso alle informazioni sensibili degli abbonati Sky per verificare il pagamento del canone è quindi irricevibile”. Con questo breve comunicato, gli uomini di Rupert Murdoch chiudono – o forse sarebbe giusto dire richiudono – la porta in faccia al direttore generale della Rai, Luigi Gubitosi che sin dall’inizio del suo mandato si era detto disposto a interrompere il criptaggio dei programmi Rai su Sky (cominciato nel 2009) a patto che la pay tv concedesse a Viale Mazzini un accesso (magari indiretto) al proprio database di abbonati. Quattro milioni 760 mila famiglie utili a stanare almeno una parte degli evasori del canone Rai.
Ma il do ut des per l’amministratore delegato di Sky, Andrea Zappia, non s’ha da fare. Mercoledì 22 la commissione di Vigilanza sulla Rai – alle prese con il parere non vincolante al contratto di servizio 2013-2015 – lo ascolterà in audizione. E lui ribadirà l’obbligo per la tv di Stato di fornire la programmazione di servizio pubblico gratuitamente a qualsiasi piattaforma distributiva. E chissà che non si spinga oltre, minacciando una causa civile a Viale Mazzini per una cinquantina di milioni in forza delle recenti sentenze del Tar e del Consiglio di Stato che stabiliscono come l’oscuramento della programmazione della Rai su Sky sia “illegittimo”. Sentenze scritte in nome della “neutralità tecnologica”. Ma il settimo piano ritiene di non aver alcun obbligo di cessione gratuita dei propri canali. E agli uomini di Murdoch manda a dire che Sky è una piattaforma “commerciale e proprietaria a differenza di TivùSat”, aggiungendo che tutto è discutibile, “sulla base di negoziazioni eque, trasparenti e non discriminatorie”.