di LAURA BERCIOUX
E’ la nuova tratta degli schiavi versione ventunesimo secolo. Avviene nelle campagne del ragusano, lavoro in cambio di prestazioni sessuali. Vittime, le donne dell’est in Italia per sfuggire alla miseria o per inseguire un sogno di maggiore benessere. Padre Beniamino Sacco è un prete coraggioso che accoglie le vittime di queste violenze nella provincia di Ragusa: “La scoperta non è avvenuta per caso, perché qualche persona che è stata coinvolta in questo squallido commercio, ha parlato o si è trovata nelle condizioni di doverne parlare. E siccome noi qui, nel ragusano, siamo il punto di riferimento di molte persone disagiate, perché abbiamo un centro di accoglienza, qualche donna rimasta incinta, è venuta da noi e ha cominciato a parlare”.
Cosa ha raccontato?
“Ci ha parlato di questi fenomeni tristi che avevano come protagoniste queste donne che, per necessità, sono venute qui da noi per risolvere i loro problemi economici e di sopravvivenza. Altre donne si sono trovate nelle stesse condizioni. Ci siamo resi conto che il fenomeno non era legato ad un episodio ma che stava diventando un fenomeno piuttosto vasto. E da qui la necessità di far sapere, di denunciare, di porre il problema sia agli organi competenti che alla cittadinanza: bisognava che tutti prendessero coscienza di questa situazione. Anche dieci anni fa c’erano stati gli stessi fenomeni, denunciati sui mass media. Ma le cose non sono cambiate di molto. Più volte ho raccomandato di stare attente perché nelle campagne, in alcune campagne, ci sono festini agricoli, giochetti… Sono donne fragili e insicure che subiscono e sono costrette ad accettare queste condizioni di schiavitù”.
Alcune subiscono dei ricatti veri e propri
“Ti butto fuori dall’azienda, o “Non ti permetto di abitare in una casa”: sono minacce che pesano moltissimo su una una persona con enormi difficoltà economiche. Anche perché, non essendoci dei punti di riferimento se non quelli privati, la donna prima di fare una denuncia, ci pensa dieci volte. Succede che se denuncia si trova senza, lavoro, senza casa, senza soldi, senza strutture in grado di poterla accogliere”.
Qualcuno ha pagato con il carcere?
“Ci sono stati dei casi in cui si è potuto appurare che avveniva la violenza e il colpevole è stato arrestato. Ma quante sono le donne violentate? Non abbiamo la percezione dei numeri. La nostra campagna è vasta. Essendo vasta non sappiamo cosa avviene. Ci sono, poi, quei taciti consensi di omertà:… “se viene qualcuno a chiedere tacete… scappate”. Insomma strategie per non farle parlare ed evitare che gli altri sappiano”.
Chi si è rivolto al suo centro?
“In genere sono ragazze di 20, 25, 30 anni massimo. Questa è l’età media. Noi abbiamo ospitato 7-8 donne che rimaste incinte ed hanno partorito lasciando poi i bambini in adozione. La situazione è terribile. Bisognerebbe aprire altri centri. Per io maschi è diverso, subiscono violenze lavorando oltre il consentito, dormendo in cascinali fatiscenti e in condizioni disumane. Per le donne la violenza è un’altra: diventano carne da macello”.
Che cosa fate, concretamente, per aiutarle?
“Siamo diventati un punto di riferimento, di aggregazione. Non occorrono grandi cifre, basterebbe un po’ di buona volontà. Abbiamo fatto corsi di pizzaioli, di badanti, corsi di cucina. Se allarghiamo questo cerchio, alla fine le persone si incontrano, si confrontano: non si parla solo di cucina, ma di libertà, di dignità. Un luogo dove si può favorire l’aggregazione e che diventa uno strumento per far sentire la propria voce”.
Quanti Centri di Accoglienza sono presenti sul territorio?
“Ho sentito dire che dovrebbero nascere presto nuove strutture. Noi siamo presenti sul territorio da 25 anni ma non possiamo ospitare più di 8 donne. Le esigenze sono diverse: molte volte, quando ci troviamo di fronte ad una violenza, noi troviamo grosse difficoltà a collocare queste donne. Non ci sono centri di accoglienza. Noi ospitiamo persone europee quindi non extracomunitari, se abbiamo aperto le frontiere e le persone hanno diritto di circolare, dobbiamo anche assicurare un minimo che permetta loro di essere trattati come persone. Le violenze distruggono queste donne, le umiliano. Ogni qual volta si calpesta una persona, si calpesta l’anima. Parliamo di diritti umani.
Quale è stato il destino dei bimbi di queste donne?
“Per il 90% sono stati dati in adozione, qualcuna più coraggiosa ha deciso di portare avanti la gravidanza. C’è stata una ragazza che è rimasta incinta a 22 anni e nonostante chi l’avesse violentata voleva farla abortire, lei invece ha rifiutato, con tanti problemi da affrontare. Però, grazie a Dio, ce l’ha fatta, ha trovato lavoro e ha tenuto il suo bambino. Ma qui nella provincia di Ragusa ci sono un grosso numero di aborti”.