Antonio Troise
Nel paesaggio pulito e squadrato della periferia londinese, quel Tir bianco, messo di traverso, con il suo carico di morte e di dolore, è un pugno nello stomaco per la coscienza di tutti i cittadini europei. Il simbolo più evidente del fallimento delle politiche migratorie messe in atto negli ultimi anni. Sia quelle più “liberiste”, portate avanti da Bruxelles. Sia quelle più “sovraniste”, cavalcate dai partiti populisti, a cominciare ovviamente, dalla Lega di Salvini. Toccherà alla magistratura inglese fare chiarezza sulla vicenda. E capire se siamo davvero di fronte all’ultimo episodio della tragedia infinita dell’immigrazione. Se fosse così, i 39 morti trovati nell’area industriale ad Est di Londra, ammassati nella stiva, protagonisti di un viaggio disumano dai confini della Bulgaria, hanno lo stesso impatto emotivo delle centinaia di vittime della tragedia di Lampedusa, di qualche anno fa. O della madre e della figlia raccolte la settimana scorsa dai fondali del Mediterraneo, legate in un ultimo, indissolubile, abbraccio. Di fronte a queste immagini non si può continuare a voltare, sistematicamente, lo sguardo dall’altra parte. Rimandando il problema all’infinito e ignorando una verità molto semplice: l’emergenza migranti non può essere scoperta a intermittenza. Ma dovrebbe diventare una delle priorità dell’Europa. Al pari, giusto per fare un esempio, delle regole del patto di stabilità.
Il problema è che, fino ad ora, hanno prevalso più gli egoismi nazionali che gli interessi generali. L’Italia, per anni, è stata la porta di ingresso di un enorme flusso di uomini, donne e bambini in fuga da guerre, povertà e situazioni estreme. Un movimento che nessuna forza, obiettivamente, è stata in grado di arrestare. Chiudere i porti italiani non ha risolto il problema. Lo ha semplicemente allontanato nello spazio e rinviarlo nel tempo. Eppure, l’Europa è ricca e grande abbastanza per trovare una soluzione reale al problema. Sarebbe sufficiente superare gli accordi di Dublino e dare al migrante che sbarca nel Vecchio continente la possibilità di chiedere asilo non al paese ospitante ma all’Europa. Naturalmente, tutto questo, potrebbe essere accompagnato da un serio piano di repressione contro i “mercati della morte” e dei paesi che li accolgono. Temi che più volte sono arrivati sul tavolo dei vertici europei ma che, puntualmente, sono stati rimandati al mittente. Eppure, di fronte alla nuova tragedia di Londra e con i venti di guerra che spirano dalla Turchia, dovrebbe essere chiaro che il problema, ormai, riguarda tutti i Paesi europei. E dovrebbe essere affrontato in maniera globale e integrata. Ogni altra soluzione rischia solo di metterci di fronte all’ennesimo fallimento collettivo quando dovremo raccontare la prossima tragedia.