(…) L’avevano sognato consoli romani, viceré spagnoli e pure Benito Mussolini, che aveva appena precipitato l’Italia nell’abisso della guerra mondiale: «Dopo la vittoria getterò un ponte sullo stretto
di Messina…». Sappiamo com’è andata.
Di sicuro l’illusione non si doveva fermare. Così nel 1971 il Parlamento approvò una legge per «l’attraversamento stabile dello Stretto». La volle un ministro dei Lavori pubblici socialista, il siciliano Salvatore Lauricella, nel governo di Emilio Colombo. L’età dell’innocenza del Dopoguerra era svanita, si era già negli anni bui. Ma la spesa pubblica aveva preso a galoppare e i soldi degli appalti oscuravano ormai i progetti, come raccontò al Corriere il padre dell’Auto sole Fedele Cova. La pratica venne affidata a una società controllata dall’Iri, la Stretto di Messina spa. Il suo capo era Gianfranco Guardini, un ex manager Fiat scrupoloso fino all’inverosimile. La Guerra fredda imperversava e lui pretese un test di resistenza del ponte alla bomba atomica.
Bettino Craxi lo brandì nella campagna elettorale del 1992. Tangentopoli lo seppellì. Poi Berlusconi lo resuscito per gli amanti. E fra promesse e illusioni fu colui che ci andò più vicino. Lasciò il contratto firmato con il general contractor Impregilo a Romano Prodi, il quale l’avrebbe riposto nel cassetto. Chissà se il Professo re ricordava ciò che aveva det to nel 1985 da presidente del llri: «I lavori corniceranno al
più presto. L’auto risparmierà 40 minuti, l’autocarro 35 e il treno 92».
Berlusconi lo resuscitò di nuovo, ma poi inaspettata mente lo tramortì e toccò a Mario Monti recitare il de profundis. In attesa della prossima resurrezione. Ovviamente illusoria. Con una sola inquietante realtà: i 300 milioni già spesi e il miliardo di penale che rischiamo di pagare al titolari del contratto firmato dieci anni fa che hanno fatto causa. Perché il ponte, come ha scritto il Wall Street Jour nal, «spicca come il monumento allo Stato dell’Italia per una ragione: non è mai stato costruito. E l’emblema della cronica indecisione che inca-
tena l’Italia al proprio passato…».
Fonte: Corriere della Sera