Alessandro Corti
Non cresciamo più. E non solo in senso economico. L’Italia ha ingranato la retromarcia su un fronte addirittura più delicato, quello della demografia. Gli ultimi dati diffusi dall’Istat confermano, se ancora ci fosse qualche dubbio, l’immagine di un Paese in declino, dove le culle sono sempre più vuote e dove il tasso di fecondità delle donne ha raggiunto un nuovo minimo storico, la quota più bassa di sempre: 1.27. Un po’ più della metà di quello delle straniere residenti nel nostro Paese. Anche in questo caso, non c’è da stare allegri. Perché per il secondo anno consecutivo la nascite sono in calo, pur rappresentando quasi il 21% del totale dei bimbi nati in Italia.
Ma non basta. Nei prossimi anni dovremo, infatti, fare i conti con un’altra tendenza non meno preoccupante: quella dell’invecchiamento della popolazione. In Italia gli ultranovantacinquenni sono circa 100 mila, ma nel 2065 saranno la bellezza di 1 milione e 258 mila. Da più di un decennio, il numero degli over 65 ha superato quello degli under 20. Mentre nel 2027 gli ultraottantenni saranno più numerosi dei residenti italiani sotto i 10 anni di età. Come a dire: non solo non siamo un Paese per giovani ma, con questi numeri, siamo anche condannati ad una inesorabile desertificazione.
E’ vero che la malattia della bassa natalità non è solo italiana, ma coinvolge tutto l’Occidente. Nel 1950, nelle nazioni più sviluppate, Europa, Usa e Giappone, era concentrato il 32% della popolazione. Nel 2030 la percentuale scenderà al 15%. E a pagare il prezzo maggiore, neanche a dirlo, il Vecchio Continente, che vedrà assottigliarsi la sua quota di popolazione mondiale al 7%. Ma, in Italia, il fenomeno assume proporzioni ancora più consistenti, dal momento che il nostro tasso di natalità continua ad essere il più basso a livello europeo.
Di fronte alla velocità di questi fenomeni e alla inesorabile verità messa in luce dall’Istat, emerge l’insufficienza delle risposte politiche e sociali finora messe in campo per contrastare questi numeri. In Francia, giusto per fare qualche confronto, i nuovi nati sono oltre 750 mila, il 25% in più rispetto all’Italia. In Germania il numero dei migranti è molto superiore. Ma nei centri di accoglienza non solo si impara il tedesco ma anche un mestiere o una professione che può trovare uno sbocco occupazionale. In Italia, né l’uno né l’altro. Manca non solo una strategia vera per l’emigrazione ma anche una politica in grado di sostenere le donne che vogliono avere figli. E’ vero che nell’ultima manovra il governo ha stanziato 600 milioni per le politiche familiari. Ma è solo l’ennesima goccia rispetto ai numeri che, giorno dopo giorno, continua a sfornare l’Istat. Cifre che sono un campanello di allarme con il quale il Paese deve fare i conti. Al più presto.