È bastato che alcuni esponenti dem come Andrea Orlando e Gianni Cuperlo partecipassero alla festa della rivista di Massimo D’Alema, e che in quella sede si ragionasse di possibili interlocuzioni con il M55 per «scardinare l’attuale maggioranza» (copyright di Cuperlo) per dar vita all’ennesimo psicodramma tra i dem. Nel mirino Nicola Zingaretti, candidato favorito alle primarie, che alla festa non è andato. Tace a lungo il candidato più accredito alla leadership. Finché la polemica però non tracima, costringendolo a una replica stizzita: «Qualcuno vuole distruggere il Pd anche a colpi di tweet e fake news. Io non lo permetterò mai», contrattacca il governatore del Lazio. «Sulle Europee ho letto ricostruzioni fantasiose su inesistenti accordi» incalza. «Io ho sempre sostenuto l’esigenza di presentare la lista del Pd. Il resto sono solo campagne organizzate, su cose che non ho mai detto, dal vecchio gruppo dirigente che ci ha portato alle drammatiche sconfitte di questi anni». Duri anche gli sfidanti alle primarie. «A sinistra non si riparte da operazioni nostalgiche di vertice come qualcuno vorrebbe», dice Maurizio Martina. Roberto Giachetti è caustico: «Liste con D’Alema e Bersani? Alleanze con M5S? Così più che un congresso sembra un incubo…».
E le mosse di Renzi.
Matteo Renzi non può dirlo ancora con parole chiare ma la sua storia con il Partito democratico è finita. Ora vorrebbe cucirsi addosso una cosa tutta sua, un movimento di popolo e una rete di conoscenze influenti per lanciare la scalata al cielo della nuova (?) politica attraverso uri escogitazione al passo coi tempi ultimi e post ideologici. Il “partito di Renzi” è diventato l’araba fenice della politica italiana: che ci sia, ciascun lo dice, dove sia nessun lo sa. Di che si tratta? Per ora di mettere su una costellazione di «comitati civici», come li chiama lui, sul modello dei Ciudadanos spagnoli e del macroniano En marche. Ha tutta l’aria di essere un sussulto antipopulista innescato con le stesse modalità piazzaiole del grillismo. Ma forse non è proprio così. Fatto sta che l’impresa è stata affidata a due sarti renziani di un certo riguardo: Ivan Scalfarotto e Sandro Gozi. Dispersi nella bad company chiamata Pd, i seguaci di Matteo sbandano, tremano d’irrequietezza, indovinano l’imminente abbandono. E così, mentre Scalfarotto e Gozi filano la lana e l’amianto del loro santo Renzi, Roberto Giachetti e Anna Ascani – i renziani più renziani di Renzi – s’immolano in una corsa alla segreteria priva di prospettive. Una cieca prova d’amore alla quale s’è sottratto il più amletico Marco Minniti. Del suo progetto l’ex presidente del Consiglio parla eccome nelle tante chiacchierate private al massimo livello che intreccia da diverse settimane a questa parte. Una decina di giorni fa Matteo Renzi era a Bruxelles e in un giro di incontri, l’ex premier ha parlato anche con il presidente della Commissione europea Jean-Claude Juncker. E al suo interlocutore Renzi ha confidato quel che ha in testa «Dicono che io voglia fare un partito con Berlusconi, ma è vero l’esatto contrario: io punto all’elettorato di Berlusconi e non solo a quello». Per capire un orientamento bisognerà attendere un nero su bianco consolidato: il nuovo libro di Renzi. Ma bisognerà attendere fine gennaio perché possa approdare in libreria.