Il brevetto, opera di Enea, riguarda il restauro di statue italiane dei primi del novecento con una tecnica abbastanza insolita che utilizza batteri, ossia microorganismi selezionati e prelevati da miniere italiane e polacche oltre che dalle tombe etrusche di Tarquinia. A capo del team di ricercatori vi è Anna Rosa Sprocati, che spiega come inizialmente i microorganismi erano stati scelti perché ben si adattavano ad azioni di risanamento ambientale.
Il concetto alla base della loro funzione di “pulizia” delle opere d’arte sta nel fatto che lo speciale microorganismo si nutre proprio delle particelle sporche, a base di idrocarburi, presenti come patine sui monumenti. In questo modo i batteri si nutrono solamente della patina di sporcizia, rimuovendola e ripristinando la superficie al suo stato naturale, senza danneggiarla. Alcuni risultati sono già stati ottenuti: si è già proceduto al restauro della Lupa di Grazioli, da sempre oggetto di patine nerastre a causa dell’inquinamento urbano.
I batteri, per la loro azione selettiva nei confronti delle particelle di carbonio, sarebbero una soluzione assolutamente innocua e dai costi bassissimi, se confrontate con gli attuali mezzi di restauro, spesso a base di composti chimici dannosi per l’ambiente e qualche volta anche per il monumento stesso. Ora l’Enea sta lavorando sui dipinti della Casina Farnese, con ottimi risultati : nessuno infatti era mai riuscito a rimuovere la patina, probabilmente di caseina invecchiata, che ricopriva i dipinti sulla leggenda di Ercole e Caco.