Chiamate 800 060708. In caso di panico per effetto dello stress da Coronavirus, vi risponde il servizio, totalmente gratuito, che permette di entrare in contatto con specialisti del trattamento delle difficoltà che vanno dall’ansia alla depressione e che il Covid 19 finisce inevitabilmente per intensificare. Ne parla con ilsudonline.it Massimo Doriani, psicoterapeuta e sociologo, presidente del Gruppo Imago, accademia con sede a Napoli, che svolge diverse attività nel campo della psicologia centrate sulle professioni di aiuto e supporto al disagio psichico, e dirige l’ISIDAP, istituto specialistico dedicato proprio alla cura degli attacchi di panico e dei disturbi d’ansia.
Dottor Doriani, come è nata l’idea di uno sportello d’ascolto sull’ansia per il Covid-19?
Il merito non è mio, ma di tutti quegli allievi ed ex allievi psicoterapeuti della nostra specializzazione e delle altre nostre scuole di formazione, che hanno aderito all’iniziativa con entusiasmo, passione e spirito filantropico.
Quante persone?
Parliamo di circa una trentina di operatori, ai quali si aggiungerà tra breve almeno un’altra decina di colleghi che hanno accettato di aiutarci.
Ma in cosa consiste esattamente il servizio che avete allestito?
Tutte le persone che in questo periodo così particolare hanno delle difficoltà di tipo ansioso, dalla semplice agitazione, alla paura, a reazioni fisiche ansiogene, ma anche depressive, fino ad arrivare a veri e propri attacchi d’ansia o di panico, possono telefonare al numero verde e avranno una assistenza finalizzata ad un contenimento e ad una riduzione del livello dell’ansia da parte di operatori specializzati.
Ci sono dei costi da sostenere?
Il servizio è gratuito ed il lavoro è basato sul volontariato. Basta chiamare al numero verde 800 060708. Un nostro operatore smista la telefonata ai colleghi di turno.
Ci sono strutture o organizzazioni che vi sostengono?
Per quanto riguarda la diffusione delle informazioni di contatto, l’azienda di telefonia Optima Italia si è resa disponibile a promuovere l’iniziativa attraverso i suoi canali. Ovviamente speriamo di trovare altri sostenitori che ci possono dare una mano con l’obiettivo di rafforzare il servizio
Che tipo di risposte date a chi vi chiama?
Non ci occupiamo degli aspetti sanitari né diamo suggerimenti circa comportamenti igienici, il nostro sportello è puramente psicologico e basato sulle problematiche legate all’ansia. Ovviamente qualche suggerimento comportamentale viene fornito, specie rispetto a situazioni particolari del tipo come comportarsi con i figli, con persone anziane. Ma la vera mission del servizio è l’accoglienza e il supporto psicologico con l’intento di placare momenti di panico e ridurre il livello dell’ansia dell’utente. Vogliamo fare in modo che la telefonata abbia una sua efficacia psicologica immediata più che una funzione informativa. Per questo poi gli operatori partecipano ad un protocollo di supervisione per la loro tutela psicologica.
Più in generale che idea si è fatta degli effetti dell’emergenza pandemica?
Stiamo assistendo a una sorta mutazione genetica delle paure delle persone. Nei primi giorni esse erano correlate agli aspetti sanitari, poi la preoccupazione si è spostata sulle conseguenze economiche prodotte dal virus. Lo abbiamo riscontrato anche nei pazienti in psicoterapia, per i quali i sogni e le istanze profonde erano caratterizzati dal timore del disastro economico.
Avete riscontrato anche una variazione nelle sintomatologie?
Tutte le ansie sottendono un’angoscia di morte, che si accentua quando il fattore determinante è un’epidemia che realmente porta alla morte, sebbene le percentuali siano esigue. Nel complesso abbiamo constatato una prevalenza dei disturbi da stress rispetto alle sindromi depressive. Solo qualche sporadico evento di fobie paranoico persecutorie, sindrome che già solitamente teme il contagio dal mondo, figuriamoci in un’epoca in cui il contagio è reale. Questo è però è un tipo di disturbo più legato al lavoro dei colleghi dei servizi pubblici che al mondo della psicoterapia.
Con tutte queste ordinanze di restrizione che si susseguono, con l’essere costretti a restare in casa per giorni e giorni, quali sono le tipologie patologiche che più ne risentono?
L’immaginario collettivo attualmente è focalizzato sulla paura di questo nuovo scenario di restrizione della mobilità personale, cosa completamente insolita alla quale non siamo minimamente abituati e che come prima reazione ci ha lasciati perplessi e disorientati.Dal punto di vista delle patologie della persona, ovviamente chi soffre di claustrofobia è maggiormente a rischio. Sente che il mondo gli si restringe attorno sempre di più.
E che cosa può dire del rischio di cadere in depressione?
Verrebbe da immaginare che le conseguenze più devastanti ricadano sui single, sulle persone sole che rischiano sindromi depressive. Ciò è vero, ma solo in parte, perché sono proprio i single e le persone sole le più strutturate e resilienti alla tematica della solitudine. Esse hanno già degli strumenti a loro ben noti per combattere la situazione, degli anticorpi già sperimentati. I contesti più a rischio invece sono le famiglie. E per famiglie intendo tutti i contesti di convivenza, anche quelli non parentali, chiamiamoli contesti relazionali significativi.
In questi ambiti pesa la convivenza forzata in spazi ristretti?
Certo, anche perché la famiglia non è un sistema chiuso, bensì un sistema aperto al mondo. E svolge la funzione di ricettore e rielaboratore psichico degli stimoli sociali.
L’individuo che al mattino esce di casa e va in giro per il mondo, si riempie e si nutre di stimoli e tensioni che la società gli propone. Poi, quando torna a casa…
Condivide, fonde e confonde questi contenuti psico culturali con i familiari, portando al mondo familiare sia nutrimento che tensioni. La famiglia digerisce tutto ciò rielaborando nuovi contenuti culturali che rafforzano e ritemprano l’individuo per poter ripartire il giorno dopo nel suo viaggio nel mondo. Tutto ciò in un circolo virtuoso di nutrimento ed elaborazione, un continuo feedback tra mondo esterno e mondo interno individuale e familiare.
Quindi da un punto di vista individuale la famiglia è un elaboratore psichico, dal punto di vista sociale è una sorta di ammortizzatore sociale?
Purtroppo però non è sempre così anzi nella maggior parte dei casi la famiglia invece di elaborare le tensioni le produce. Queste sono le famiglie cosiddette disfunzionali. E poiché le famiglie disfunzionali sono attualmente in maggioranza rispetto a quelle funzionali, c’è il rischio che il Covid-19 crei numerose turbolenze che si ripercuoteranno sia sugli individui che sulla società.
Chiudendo le porte al mondo esterno, rimanendo segregati in casa, una grossa dose di energia che prima veniva dedicata alle relazioni esterne verrà trasferita sulle relazioni interne. Quando queste sono disfunzionali, il circolo vizioso aumenta di entità?
Questa energia sarà tanto maggiore quanto più lungo sarà il periodo di clausura.
Ora, in qualunque sistema, se lei immette una considerevole ed insolita dose di energia, il sistema reagirà amplificando i propri processi. Se sono processi virtuosi aumentano le virtù se sono processi viziosi, aumentano i vizi.
Ci chiarisca meglio.
Se in una famiglia le dinamiche relazionali sono sane e virtuose, un periodo di segregazione forzata porta una energia che può produrre grossi vantaggi.
Ad esempio?
Approfondire alcun relazioni in modo più intenso ed intimo, dedicare più tempo ai figli e alla gioia che questi possono darci, occuparsi di tutte quelle piccole attività che ci danno identità. E persino il dedicarsi alle riparazioni domestiche che fanno in modo tale che senta più mio il mio spazio.
E se sto in una casa piccola con spazi ridotti?
Certo uno spazio più bello e ampio aiuta. Ma ciò che fa in modo tale che quello spazio io lo senta più mio, vi trovi più facilmente la mia identità, trasformando la famiglia in un luogo di elaborazione virtuosa e non di tensione viziosa, è legato molto più al vissuto interiore che alla realtà esterna.