Le liste di attesa non dovrebbero esistere. Non è solo il desiderio dei cittadini alla disperata ricerca di una visita in tempi decenti. È proprio una disposizione di legge. La norma che da sola potrebbe cancellare uno dei problemi più odiati della sanità italiana è tanto datata quanto misconosciuta. Risale al 1998 (legge 124, voluta dall’allora ministra alla Salute Rosy Bindi), ed è stata poi ribadita nel Piano nazionale per le liste di attesa 2010-2012 tutt’ora valido.
Recita così: quando i tempi di risposta sono superiori a quelli previsti, tocca all’azienda sanitaria o ospedaliera farsi carico del problema. Se le attese eccedono i 30 o i 60 giorni, a seconda che siano visite o esami, «l’assistito può chiedere che la prestazione venga resa nell’ambito dell’attività intramoenia». A lui toccherà pagare solo il ticket, se non è esente. Il resto lo tira fuori l’Azienda. Una possibilità, che però, non conosce quasi nessuno. E, di conseguenza, nessuno utilizza. Ma come mai le informazioni scarseggiano? Solo un problema di comunicazione? Pigrizia dei pazienti? O forse perché le Regioni non hanno alcun interesse a rendere noto questo diritto, visto che garantirlo in certe realtà, considerati i tempi di certi esami, sarebbe molto costoso?
«Le richieste dei pazienti di esercitare il diritto di avere la visita nei tempi fissati sono pochissime» conferma Tonino Aceti del Tribunale diritti del malato. «È che questa possibilità non è nota. Per questo chiediamo che siano gli operatori dei Cup, i centri di prenotazione, a spiegare agli utenti come fare e ad occuparsi di fissare l’appuntamento in intramoenia a carico dell’azienda se le attese sono troppo lunghe”.