Antonio Troise
La tentazione è forte. E diventa addirittura irresistibile via via che si avvicina la campagna elettorale. Sono stati sufficienti poche spruzzate di rosa in un quadro macroeconomico che per ben otto anni è stato dominati da toni di grigio o addirittura nero carbone, per ridare slancio alle sirene dell’ottimismo o, addirittura, della spesa facile. Con l’immancabile e tradizionale assalto alla diligenza dei conti pubblici, con raffiche di richieste da parte di tutti i partiti, senza tante distinzioni fra maggioranza e opposizione. L’appetito, del resto, è grande dopo la più lunga e dura recessione dal dopoguerra. E l’idea di riconquistare i consensi perduti allargando i cordoni della borsa è fin troppo scontata.
Ma davvero possiamo finalmente abbassare la guardia e tornare alle vecchie finanziarie fatte in deficit, dando un calcio definitivo all’odiato rigore imposto dall’Europa e, soprattutto, dai mercati? Nulla di più sbagliato. E bene ha fatto il presidente della Confindustria, Vincenzo Boccia, a tirare fuori la imprese dal coro dei facili ottimismi e dal partito sempre più trasversale della spesa facile. La verità che viene fuori dai numeri è ben altra. Il Paese non è affatto uscito dalla crisi. La ripresa, pur se superiore alle previsioni, è ancora debole, alimentata più dal buon andamento dell’export che dal rilancio dei consumi interni. Non a caso, l’inflazione continua infatti ad essere abbondantemente al di sotto da quella soglia del 2% auspicata dalla Bce. E, il Pil nominale, depurato cioè dal dato relativo all’andamento dei prezzi, è inferiore alle previsioni messe nero su bianco nel Documento di Economia e Finanza.
Insomma, per uscire finalmente dal tunnel, non basta decantare la ripresa in arrivo. Anche perché con un debito pubblico del 130% del Pil e con i tassi di interesse ormai in salita, i nostri conti rischiano di deragliare molto facilmente. Se a tutto a questo aggiungiamo un quadro politico estremamente incerto e un governo che, nonostante tutto, ha numeri molto risicati al Senato, la situazione è decisamente meno rosea rispetto a quella immaginata.
Da questo punto di vista, ha ragione da vendere la Confindustria quando invita i partiti e i politici a mostrare senso di responsabilità, approfittando del vento a favore per ridurre il debito, continuare sulla strada delle riforme e puntare le poche risorse messe a disposizione dalla prossima legge Finanziaria, sul tavolo della crescita e del lavoro. In caso contrario, il pericolo sarebbe doppio: potremmo tornare ad essere sorvegliati speciali in Europa e faremmo tre passi indietro rispetto ai nostri diretti concorrenti. Sarebbe un pessimo affare per tutti. Anche per la Politica.