Il premier promette nuovi aiuti al Mezzogiorno? E’ perché lì c’è il grande bacino elettorale dei 5 Stelle. Conte pensa a un piano di investimenti per il Sud? E’ perché questa are del Paese è destinata a restareattaccata alla mammella della mucca pubblica. Alcuni titoli dei giornali di Nord sono assai eloquenti. Attestano l’emergere di un vittimismo acritico, che fino a pochi mesi fa era attribuito al Sud piagnone. La nascita dell’esecutivo giallo-rosso ha segnato un passaggio di priorità sull’agenda setting dei media settentrionali. L’emergenza non è più l’immigrazione clandestina ma il colpo di freno all’autonomia differenziata. La polemica non è più tra destra e sinistra, ma tra Nord e Sud. E non finisce qui.

 

NUOVO COPIONE

D’ora in avanti assisteremo a un nuovo copione. Vedremo Conte al centro di un fuoco di fila dei media nordisti. Obiettivo? Strizzare il premier foggiano tramutando persino le migliori intenzioni sue e del governo (ad esempio, dare il treno a Matera…) in controprove che assistenza e mancesono sempre utili pergestire il consenso elettorale nella terra del familismo amorale. L’obiettivo di un’Italia economicamente più omogenea (oltre che meno diseguale), verrà interpretata come “virata sudista dell’esecutivo… “. Gli intendimenti più ragionevoli, le iniziative più opportune e urgenti, l’obiettivo di restituire all’Italia un ruolo nel mondo dell’economia globale, diventerannofanfaluche, pinzillacchere,frasi ad effetto che Conte somministra con il tacito intento di “allungare i tempi dell’Autonomia per svuotarla dei contenuti fissati dalla Lega” (Enrico Paoli, Libero, 13 settembre 2019).

Si dirà che questo è il pensiero greve e la visione di corto respiro di Feltri e Sallusti? Che il Nord vero è attento ad altri scenari. Che lì c’è una classe dirigente alla quale non piace stare a guardarsi l’ombelico. Sarà. Ma l’idea che per far correre Milano e Brescia è meglio far rallentare Napoli e Gioia Tauro non è nuova.Per metterle addosso il vestito buono la chiamarono “Questione settentrionale”, ed ebbe diversi adepti anche tra i dirigenti del Pd. Il sospetto è che sotto pelle la strategia sia rimasta quella:in tempi di rubinetti a secco, meglio irrorare le scarse risorse disponibili nei campi più promettenti, dove i frutti possono risultare più copiosi: l’industria e l’economia del Nord. Poi, se ne avanza…

Il perimetro ideale del territorio attivo e operativo coincide con i confini del “nuovo triangolo industriale” italiano:i vecchi vertici degli anni Cinquanta – Torino e Genova – non ci sono più,travolti da una crisi di specializzazione produttiva che ha portato alla mondializzazione della Fiat. Per la città della Lanterna il crollo del ponte Morandi è stato più che una rovina fisica. Pertanto al baricentro di Milano oggi si connettono le aree del Veneto e dell’Emilia, dove è concentrato un tessuto connettivo di PMI e multinazionali tascabili capace di sviluppare un Pil maggiore di quello dei Paesi Bassi (eddella Svezia e della Polonia), un valore aggiunto manifatturiero maggiore della Spagna. Riaffiora il miraggio di un modello di sviluppoche saldi l’Europa continentale al Mediterraneoche però si ferma alla linea del Po, saltando a piedi uniti il Mezzogiorno (e i suoi problemi), con la parte forte del Paese che bypassa le aree più arretrate.

 

PROSPETTIVE FRAGILI

Ma è un disegno dalle prospettive fragili. Come afferma da sempre l’economista Adriano Giannola, presidente Svimez, “una cosa è agganciare la crescita” lanciando un grappino di arrembaggio al locomotore tedesco (che tra l’altro comincia a conoscere una fasedi preoccupante rallentamento), altro è “riprendere un sentiero di sviluppo” e tornare a contare in Europa. Per la seconda ipotesi occorreche un secondo motore di propulsione si aggiunga a quello del Nord, conferendo al nostro Paese loslancio competitivo che ci si attende dalla seconda manifattura d’Europa. Allineare il Sud è una convenienza, non una opzione. Un imperativo categorico se desideriamo una nazione che non sia dimezzata come il visconte di Calvino.

In altri tempi – era il marzo del 2014 – fu il centro studi di Intesa Sanpaolo (istituto che certo non può essere sospetto di sudismo) a mettere a fuoco l’esistenza di una trama di interconnessione economica e produttiva tra le due aree del Paese.Da cui possono discendere politiche pubbliche non contro il Nord, ma allo stesso tempo non senza il Sud. “Occorre superare – disse in quella circostanza il direttore di Srm, il piemontese Massimo Deandreis – la visione solo dualistica del rapporto Nord-Sud a beneficio di una maggiore consapevolezza delle interdipendenze esistenti”.

Riassumiamole qui di seguito schematicamente:

  1. Sia il Centro Nord che il Mezzogiorno sono largamente dipendenti – in termini di scambi di beni e servizi – l’uno dall’altro per soddisfare le proprie esigenze produttive
    • Il Mezzogiorno “importa” risorse per il 30,3% delle sue esigenze dal Centro Nord mentre il Centro Nord “importa” risorse per il 25,1% delle sue esigenze dal Mezzogiorno.
    • Il Mezzogiorno è importatore netto di risorse dall’esterno. Il Centro Nord al contrario è esportatore netto verso l’esterno.
  1. Per ogni 100 euro di investimenti effettuati nel Mezzogiorno si verifica un “effetto dispersione” che va a beneficio del Centro Nord in una misura pari a 40,9 euro. Viceversa, per ogni 100 euro di investimenti effettuati nel Centro Nord si verifica un effetto dispersione a beneficio del Mezzogiorno pari a 4,7 euro.
  2. Gli investimenti di alcune filiere attivano una quota di produzione interna al Mezzogiorno molto significativa: Automotive, Aerospazio, Logistica e Trasporti.
  3. Guardando al “peso” che queste filiere industriali hanno nel Mezzogiorno in termini di valore aggiunto, fatturato ed occupazione rispetto al totale nazionale, si rileva come Automotive, Aerospazio, Agroalimentare (i settori delle 3A) e la filiera dell’economia del mare (dalla Logistica allo Shipping) diano un rilevante contributo all’intero sistema economico nazionale.
  4. La forza di queste filiere e meta-distretti “interconnessi” risiede inoltre nella spiccata tendenza all’internazionalizzazione. La componente di export – soprattutto nei settori delle “3A” e della Logistica e Trasporti – è significativa per tutto il Paese e contribuisce in modo rilevante al valore internazionale delle nostre produzioni.

“Da qui deriva l’importanza del Mezzogiorno – si legge nella Nota – nella complessa rete di relazioni inter-aziendali e intra-regionali per lo sviluppo economico nazionale”. Investire nel Mezzogiorno produce un duplice effetto:

  • Crea sviluppo che resta nel Mezzogiorno e contribuisce allo sviluppo endogeno per almeno il 50% dell’investimento;
  • Ha inoltre una rilevante ricaduta economica su tutto il territorio nazionale – anche al Centro Nord – con un effetto benefico sull’intero sistema produttivo nazionale.

“Il Mezzogiorno – conclude il Documento di cinque anni fa  -può trasformare la propria cronica “debolezza” in un “punto di forza” se sarà capace di valorizzare il proprio ruolo e le proprie vocazioni geografiche e settoriali.Ma va sottolineato che la ripresa economica in Italia passa dal rilancio del Mezzogiorno”. Forse è venuto il tempo in cui giova ricordare tutto ciò. Anzitutto ai giornali del Nord.

Claudio D’Aquino