Nel bombardamento di informazioni diffuse durante la fase più acuta del Covid-19 e relative al rischio derivante dalla contaminazione del cibo, si è fatta largo una maggiore consapevolezza alimentare? Questo l’interrogativo che ha ispirato l’incontro fra i produttori dell’Umbria che si è tenuto a Trevi il 19 settembre a Villa Fabri, sede della Fondazione che studia le biodiversità del territorio: Le biodiversità agroalimentari come patrimonio di un territorio: nuove tendenze e nuova consapevolezza alimentare dei consumatori post lockdown.
Si direbbe di no.
“Consapevolezza alimentare”: di che cosa stiamo parlando? L’espressione, coniata negli ultimi vent’anni a seguito del boom del biologico, si fa sempre più largo nella comunicazione del marketing agro-alimentare dopo il confinamento imposto dalla pandemia. Viene indistintamente usata sia per invogliare le singole persone a informarsi su ciò che mangiano e dei relativi effetti, sia dalle aziende agro-alimentari a significare l’impegno per una produzione tesa alla salute oltre che al profitto. Buoni propositi che però si scontrano con i drammatici dati dell’Istat sull’alimentazione. L’Italia è prima nell’Unione Europea per obesità giovanile, con percentuali particolarmente elevate al centrosud.
Giova ricordare che un recente studio condotto da Bain & Company in Italia, Svezia, Francia Germania e Regno Unito sull’evoluzione dei consumatori post covid, ha evidenziato l’aumento dell’11,20 per cento delle vendite nella grande distribuzione. E l’ultima analisi nazionale dell’Osservatorio dell’IZSV (Istituto Zooprofilattico Sperimentale delle Venezie) rileva che il 75,8 per cento del campione ritiene di non avere alcun controllo riguardo le tecnologie applicate agli alimenti, in particolare contaminazione del cibo e residui di pesticidi (70 per cento). Come si conciliano questi dati con la consapevolezza alimentare?
L’ Umbria è terra d’olio e di santi. Di silenzi. Trevi si trova al centro della fascia olivata, 40 chilometri che le sono valsi il riconoscimento della FAO. Per il sindaco Bernardino Sperandio, al suo secondo mandato, un’eccellenza, un fiore all’occhiello come è pure il settore vitivinicolo con «oltre 500 varietà autoctone», dice Laura La Ficara, Movimento Turismo Vino Umbria, che però rischia di appassire sotto l’incidenza delle grandi distribuzioni. «Lo sforzo è quello di riuscire a far sopravvivere le medie e piccole aziende – ha detto Luca Grasselli, vicepresidente della Coldiretti Umbria – facendole entrare in contatto con chi acquista e consuma». Le filiere territoriali, il cosìddetto chilometro zero, dovrebbe essere facilitato, in provincia. Ma è quella stessa provincia raccontata da Michele Prisco: ovunque ti silenzia e t’addormenta.
Lucio Tabarrini, presidente dell’associazione Macellai Umbri, dice che l’unico prodotto IGP (Indicazione Geografica Protetta) dell’Umbria, è il prosciutto. «Nella mia bottega, non lo vendo». Perché? «Prevede un disciplinare troppo permissivo». E comincia a tagliare trasversalmente larghe sottili fette striate di rosa e di bianco da una coscia suina scura, con la zampa. «Questo maiale se n’è andato nei boschi per metà della sua vita» dice. Sbircio l’etichetta, più di venti euro il prezzo all’ingrosso. Quanto costerebbe al dettaglio? «Bastano un paio di fette per farti felice» dice.
E’ la provincia, ti si stringe attorno al suono delle campane o a festa o a morto. Se hai vedute altre, se tu guardi oltre, è diffidente o infida. Pierluigi Marani è un uomo ben piantato e indossa una maglietta blu striata di bianco. E’ farina. E’ l’amministratore delegato del Molino sul Clitunno, un subaffluente del Tevere citato da Virgilio. Cinque anni fa ha avviato un progetto di filiera del grano ma è dovuto andare a Modena, in Emilia, per trovare i produttori: «Qui volevano che lo pagassi al prezzo del bollettino di Bologna, 19 centesimi al quintale, invece che a quello di Perugia, 16 centesimi». Il primo anno fu un fallimento: «Si raccolsero solo 15mila quintali di grano. Mio padre mi diceva pazzo.». Quest’anno ne ha ritirati 110mila. Ogni azienda, modenese, gli fornisce i quaderni di coltura e ‘di campagna’, persino i documenti catastali degli appezzamenti. Ha il controllo su tutto. Analizza le farine sei volte prima di confezionarle ed è l’unico produttore italiano ad aver applicato dall’1 aprile 2020 la normativa sull’obbligo di indicazione, sulle etichette, della provenienza del grano. Le sfogliatelle napoletane surgelate? In Campania si producono con la sua farina. Si avvale di un maestro panificatore sorrentino, Favio Gargiulo, per i corsi di formazione. Nel 2013, Favio aiutò Gennaro Esposito ad avviare il suo ristorante a Capri. Un giorno si presenta Alain Ducasse, chef con 30 ristoranti, 1700 dipendenti. Lo fa chiamare: «Mi fai una pissà?»
Se per Mariani l’etichettatura è fondamentale, per chi produce formaggi è il punto dolente. Claudio Spallaccia è componente dell’Organizzazione Nazionale Assaggiatori di Formaggi, sotto la quale si raggruppano 1500 aziende in Italia. Lamenta la mancanza di regolamentazione dell’etichettatura per l’evidenza della provenienza della materia prima, la necessità di una legge ma anche il timore dell’applicazione della normativa europea che permetteva l’utilizzo del latte in polvere per fare la mozzarella.
Maria Elena Curzio, napoletana del Vomero, è presidente dell’Associazione Italiana Cuoche a Domicilio. In aprile 2020, durante il picco della pandemia da Covid 19, ha pensato di dare voce a chi produce i frutti della terra inventandosi sui social una rubrica, “Adotta un contadino”, imitata anche da trasmissioni nazionali generaliste. Ha scoperto i mondi e le vite per esempio di Daniela Mareschi, che ha cominciato a coltivare il pomodoro San Marzano nella piana del Sele dopo aver trovato in un barattolo i semi custoditi dal nonno. O di Antonella Melillo che a Alife, in provincia di Caserta, ha ripreso la coltivazione della cipolla tipica, scolpita finanche in un capitello della chiesa del paese. «Voglio essere il braccio armato di piccole ma importanti realtà che hanno una storia e rispetto per la materia» dice. Altre voci, la provincia si risveglia.
Maria Tiziana Lemme