Antonio Troise
Non si può ancora dire se ci troviamo di fronte alla tanto attesa rivoluzione che farà cambiare pelle alla nostra burocrazia. Ma, sicuramente, la riforma del pubblico impiego targata Renzi merita un’apertura di credito. Soprattutto perché punta su due obiettivi ben delineati: ridurre la spesa senza, per questo, ridimensionare i servizi; rendere più efficiente e responsabile la macchina della burocrazia, avvicinando sempre di più lo Stato ai cittadini.
Il meccanismo dei premi legati ai risultati (e più in generale all’andamento del Pil), il taglio alle sacche di privilegio e agli abusi dei distacchi sindacali, l’obbligo di lasciare il lavoro non appena raggiunti i requisiti per il pensionamento, la cosiddetta staffetta generazionale per abbassare l’età media dei lavoratori pubblici, sono tutte misure destinate ad incidere nel moloch della pubblica amministrazione in maniera più profonda di quello che si può pensare. Così come l’obbligo della mobilità per i dipendenti fino a una distanza massima di 50 km. O la razionalizzazione delle strutture con fusioni o, per lo meno, accorpamenti. Cose che altri Paesi hanno già realizzato anche per fare fronte alla recessione ma che da noi hanno incontrato molti più ostacoli.
Forse, se c’è un limite nella riforma varata dal governo, è nell’assenza di un disegno più organico per migliorare il grado di efficienza e di funzionalità della nostra macchina burocratica. Lo svecchiamento va bene, ma forse occorreva prevedere un impegno più forte sul fronte della riqualificazione professionale, dell’innovazione tecnologica e, soprattutto, della semplificazione normativa. Chi ha avuto a che fare con la burocrazia sa bene cosa significa districarsi nel labirinto delle carte e delle autorizzazioni e con uffici che solo lentamente si stanno convertendo sulla pratica della digitalizzazione e dei servizi on line offerti in tempo reale. Un gap di efficienza che costituisce una doppia beffa per gli italiani, gravati da un peso fiscale record rispetto agli altri Paesi europei.
Certo, nessuno può fare miracoli o superare di colpo decenni di ritardi. Ma la riforma del pubblico impiego, anche se nata sull’onda lunga delle misure delle austerity, può davvero rappresentare l’occasione per una piccola grande rivoluzione: far capire ai burocrati e ai dipendenti pubblici che lavorano al servizio dei cittadini e non il contrario. Senza considerare, infine, l’effetto positivo che un’amministrazione pubblica più efficiente ed efficace può avere sulla nostra economia. Non a caso è in cima alle rihieste arrivate da Bruxelles e dalla Bce per imboccare la strada della ripresa e ridurre il deficit.