di Antonio Troise
La bufera è passata, i gufi sono stati sconfitti. L’onda lunga degli euroscettici non ha travolto le istituzioni comunitarie, si è fermata al 20% dei deputati del Parlamento di Strasburgo: una bella pattuglia, non c’è dubbio, insufficiente però a demolire la fortezza della moneta unica. Non per questo il voto di domenica è stato meno rivoluzionario. E’ destinato a incidere fortemente sugli equilibri, già instabili, del Vecchio Continente. Il primo ad aver fiutato l’aria nuova è il numero uno della Bce, Mario Draghi, preoccupato dalla spirale, fatta di bassa crescita e deflazione, che rischia di far definitivamente arenare l’economia. L’ex governatore è stato chiaro ed ha annunciato misure straordinarie per lo sviluppo. Ma ora tocca ai capi di Stato recuperare gli spazi di manovra e dimostrare, nei fatti, che l’Europa non è solo una macchina infernale che continua a imporre sacrifici a nazioni già stremate, ma un soggetto politico in grado di mettere in campo le soluzioni e le ricette più idonee per rilanciare l’economia e creare lavoro.
L’esito elettorale, pur non consegnando Bruxelles agli euroscettici, da questo punto di vista non è meno importante. La sconfitta di Hollande ha rotto il tradizionale asse franco-tedesco che di fatto ha governato la moneta unica. Ma è soprattutto la vittoria a valanga di Renzi che segna la novità nel panorama politico del vecchio continente, contribuendo di fatto a ridisegnare gli equilibri politici nell’area euro. Paradossalmente, è proprio l’Italia, con il suo risultato a sorpresa, a costituire oggi l’architrave della moneta unica. Ma, ad una grande forza deve corrispondere una grande responsabilità. Di questo, Renzi, è pienamente consapevole e, non caso, già da ieri, ha cominciato a tessere la nuova ragnatela di rapporti in Europa. Facendo subito capire che l’Italia non intende più giuocare il ruolo di sorvegliato speciale ma vuole finalmente incidere sulle scelte future dell’Unione.
Una partita che, per una singolare coincidenza della storia, si incrocia con la presidenza italiana del semestre europeo. Ci sono, insomma, tutte le condizioni per tentare di dare uno scossone alle istituzioni europee e definire un nuovo modello di governance che dia spazio non solo ai tradizionali soci forti dell’euro (a cominciare dalla Germania) ma anche a quei paesi che, fino ad ora, hanno dovuto sopportare in silenzio la legge del rigore e dell’austerity. Nessuno vuole mettere in discussione il rigore dei conti pubblici. Ma, sicuramente, dalle urne, è arrivato un segnale forte e inequivocabile: l’Europa deve di nuovo volare alto, trasformarsi in un soggetto politico, delineare un diverso modello di sviluppo. E’ l’ultima chance a disposizione per evitare il tracollo della costruzione europea. Toccherà ai capi di Stato dimostrare di aver compreso il messaggio arrivato domenica dalle urne e di dare risposte all’altezza. Altrimenti, gli euroscettici vinceranno nei fatti dopo essere usciti sconfitti dalle elezioni.
Fonte: L’Arena