Antonio Troise

Ha parlato più come un uomo di affari che come uno statista il presidente Usa, Donald Trump, fra le nevi di Davos, davanti ai big della politica, dell’economia e della finanza del mondo. Mettendo in vetrina la ricetta del nuovo sogno americano, fatto di posti di lavoro che crescono (2,4 milioni in più nell’ultimo anno), scandito dai nuovi record di Wall Street e da un Prodotto Interno Lordo che ha costretto perfino gli austeri economisti del Fondo Monetario a rivedere al rialzo le stime della crescita. Vuoi vedere, allora, che la ricetta “protezionista” del Tycoon americano, sempre più osteggiato in casa dai grandi media, sta funzionando? Partiamo da un dato. Ieri, parlando nella piccola cittadina svizzera, Trump ha ribadito ancora una volta lo slogan vincente della sua campagna elettorale: “America first”. Ma ha anche mostrato un ramoscello d’ulivo ai suoi alleati europei, perfino alla coriacea Merkel, che non ha mai digerito la svolta protezionista e le minacce di dazi arrivate negli ultimi mesi dall’inquilino della Casa Bianca. Difendere gli Stati Uniti, ha in sostanza detto Trump, non significa affatto che l’America vuole andare avanti da sola e, soprattutto, alzare dovunque barricate o muri commerciali. Il problema, casomai, è un altro: garantire scambi bilaterali equi e corretti, basati sulle regole e non sulla loro sistematica violazione. Il riferimento, ovviamente, è alla Cina e alla sua politica economica fatta di cambi predatori, scarsi diritti dei lavoratori e nessun rispetto per l’ambiente. Un discorso, insomma, che non fa una piega. E che di fatto apre più di uno spiraglio di dialogo fra le due sponde dell’Atlantico, fra gli Stati Uniti che si candidano ad essere la nuova locomotiva post-recessione, e l’Europa, che continua ad essere il più ricco mercato del mondo. Come a dire, business is business, gli affari sono affari, e parlando da imprenditore Trump è pronto a mettere da parte ogni residuo ideologico per attrarre capitali o accelerare la crescita dell’America. Anche a costo di scendere a patti con il Vecchio Continente.

Il problema non è solo di tattica ma di strategia. Il nuovo ordine mondiale al quale aspira Trump avrà sempre l’America al primo posto. Ma nell’economia post-globalizzazione, emerge con sempre maggiore evidenza l’assenza di una governance e di regole che possano davvero evitare nuove crisi e realizzare un adeguato modello redistributivo della ricchezza. Sarà anche vero come, dice Trump, che gli Usa non vogliono restare nel loro egoistico isolamento. Ma è anche necessario che l’Europa sappia raccogliere e rispondere alla sfida del presidente americano. Magari rinunciando ai facili slogan anti-protezionistici e mettendo sul terreno delle proposte concrete sul fronte della crescita e del benessere globale.