Alessandro Corti
Appena un anno e mezzo fa l’Europa parlava e l’Italia eseguiva. O, nella migliore delle ipotesi, taceva. E’ successo con il governo Monti, alle prese con la più grave crisi finanziaria degli ultimi decenni. Si è ripetuto, sia pure con toni più sfumati, con il governo Letta. Ora, il duello sulla manovra ingaggiato dal premier, Matteo Renzi, segna una novità nei rapporti fra Roma e Bruxelles. Prima, la decisione di pubblicare la lettera, con i rilievi della Commissione, che avrebbe dovuto rimanere riservata. Poi, le stoccate contro Barroso, presidente uscente dell’esecutivo comunitario. Infine, quell’asse con Francia e Gran Bretagna che ha di fatto isolato la Germania sulla sponda dei Paesi rigoristi. Ma, al di là delle schermaglie, conta il fatto che ora l’Italia non si presenta più in Europa con il cappello in mano per chiedere sconti o favori. Ma può alzare la voce e a far sentire le proprie ragioni. Merito sicuramente di Renzi che, anche ieri, nel corso del vertice Ue, è riuscito a portare a casa una soluzione di compromesso che dovrebbe mettere al riparo l’Italia da una eventuale procedura di infrazione.
Al di là dei risultati (che, in ogni caso, costeranno al nostro Paese fra i 3 e i 4 miliardi di sacrifici in più), conta soprattutto un altro dato. Rispetto ai sorrisetti della Merkel e di Sarkozy che accompagnavano l’italietta dell’era Berlusconi, il nostro Paese è riuscito a conquistarsi negli ultimi anni una considerazione molto diversa. Sono stati sicuramente necessari i duri sacrifici dei governo Monti e Letta, che hanno consentito di tener ben dritta la barra sulla strada del rigore. Ma, la vera novità, rispetto ad appena un anno fa, è che ora, in un’Europa stremata dalla crisi, comincia a farsi sempre più strada il verbo della flessibilità e dello sviluppo insieme con quello del rigore dei conti. E’ chiaro ormai a tutti che le ricette fondate, unicamente, sulla difesa della moneta e, quindi, sul risanamento dei bilanci, non hanno funzionato e rischiano di portare il vecchio continente sulla strada di un irreparabile declino.
Da questo punto di vista Renzi non ha dovuto faticare per portare dalla sua parte paesi come la Francia e l’Inghilterra, spingendo perfino la riottosa Germania ad ammorbidire i suoi toni. Questo, naturalmente, non significa che possiamo allargare i cordoni della borsa per fare politiche espansive senza curarsi del deficit. Per essere veramente fuori da ogni pericolo e imboccare la strada della ripresa occorre cominciare a realizzare le riforme attese da anni e anche da Renzi, per ora, solo annunciate. La differenza, rispetto al passato, è che non sarà Bruxelles a imporle ma saranno decise direttamente a Roma. Un’apertura di credito che ci siamo conquistati a costo di duri sacrifici ma che rappresenta, per il governo e per tutti i soggetti coinvolti, una grande responsabilità. L’alternativa è quella di continuare ad essere la piccola Italia che aspetta da Bruxelles i compiti da fare a casa.