Alessandro Corti
C’è aria nuova a Bruxelles. Oggi comincia l’era Junker, che dovrebbe archiviare la contrastata (e criticata) stagione di Barroso. I motivi per sperare in una svolta in una Commissione apparsa, troppo spesso, suddita del verbo del rigore non mancano. Il nuovo esecutivo comunitario nasce dopo sette anni di crisi economica che hanno messo in ginocchio tutto il vecchio continente ed è la diretta conseguenza di un voto popolare dove si sono fatte sentire, con forza, le spinte anti-europeiste, da Grillo a Le Pen. Dalle urne è uscito un messaggio inequivocabile: o si cambia strada e si riescono a mettere in campo politiche credibili e concrete sul fronte dello sviluppo economico o sarà inevitabile il declino e la fine di quel sogno europeo che era nel cuore e nella testa dei leader che firmarono il trattato di Roma. Insomma, non c’è spazio per quei poteri forti, banche e sistema finanziario in testa, hanno guardato più ai bilanci degli istituti di credito e alle quotazioni della moneta unica che all’economia reale e al lavoro. Con il risultato di bruciare milioni di posti di lavoro e spingere sull’orlo del baratro paesi fondamentali come l’Italia o la Spagna.
Da Junker ci si aspetta un’inversione di rotta. Il nuovo presidente della Commissione, subito dopo l’incoronazione da parte del parlamento europeo, non ha tradito le attese ed ha lanciato la sfida proprio a quelle agenzie di rating che fanno il bello e il cattivo tempo sui mercati finanziari: “Voglio per l’Europa la tripla A sociale”. Come a dire, voglio essere giudicato sulle politiche necessarie per dare una rispostare al disagio e alla povertà che la grande recessione ha determinato in tutto il mondo. E, sul tavolo, ha lanciato una fiche di 300 miliardi di euro di investimenti.
Ma sarebbe sbagliato alimentare facili entusiasmi. La costruzione europea resta debole, i poteri della Banca Centrale sono inadeguati ad affrontare la crisi e, soprattutto, i problemi di governance della macchina comunitaria non possono essere risolti dalla sera alla mattina. Le due anime dell’Ue, quella del rigore e quella della crescita, continueranno a battersi senza esclusioni di colpi. La stessa nomina di Junker, è il frutto di un delicato compromesso, un accordo bipartisan che deve fare i conti con le 14 poltrone su 28 occupate da esponenti dei Popolari. Già la settimana prossima ci saranno le prime pagelle della nuova commissione sui bilanci degli Stati membri. L’Italia non può, con il debito pubblico che si ritrova sulle spalle, sperare in sconti eccesivi. Ma dalle prime parole di Junker si potrà finalmente capire se la nuova Europa intende rivolgersi un po’ di più ai cittadini e un po’ di meno alla finanza, riuscendo finalmente a interpretare alla lettera quel patto di Maastricht che, accanto alla stabilità, predicava anche lo sviluppo.