Alessandro Corti
La ripresa c’é. E si intravede da molto indicatori. Cresce il Pil, anche al di là delle aspettative del governo. Aumenta in maniera vistosa l’export sui mercati internazionali. Gli investimenti produttivi segnano un’invenrsione di tendenza rispetto agli anni della grande crisi. E anche sul fronte del lavoro, come era prevedibile, qualcosa comincia a muoversi. Nel terzo trimestre dell’anno, segnala l’Istat, c’è stato un incremento del numero degli occupati, circa 79mila unità, un balzo in avanti che diventa ancora più consistente se si fa il raffronto con lo stesso periodo del 2016. In questo caso l’Istat ha registrato oltre 300mila posti di lavoro in più. C’è da essere soddisfatti? In realtà è presto per abbassare la guardia. È vero, come ha annunciato ieri il Presidente della Repubblica, Sergio Mattarella, che il peggio é alle spalle. Ma è ance vero che proprio i dati diffusi dall’Istat dimostrano una cosa molto semplice: la ripresa in atto non è ancora solida ed è sicuramente “precaria”. Non a caso, l’incremento maggiore dell’occupazione si registra ancora una volta nel settore dei contratti a tempo determinato. Una tipologia che aveva subito una battuta d’arresto quando il governo aveva fortemente incentivato i rapporti di lavoro a tempo indeterminato. Poi, però, finiti gli incentivi, anche per effetto delle norme contenute nel Jobs Act, gli industriali sono tornati ad assumere con contratti a termine. Segno evidente che qualcosa ancora non va. E che soprattutto anche la cancellazione dell’articolo 18 e l’introduzione dei nuovi contratti a tutele crescenti non hanno convinto del tutto la platea degli industriali. L’indice dei disoccupati, del resto, fa registrare solo piccole variazione.
Forse anche per questo, alla Camera, si é riacceso lo scontro sulla riforma del mercato del lavoro, con una brusca retromarcia del Pd proprio sui contratti a tempo determinato. Una stretta che ha messo in difficoltà il governo, ha imbarazzati il ministro del Lavoro, Poletti, ed ha prodotto nuove divisioni anche all’interno della coalizione di maggioranza.
Il problema, però, non é solo di norme più o meno rigide. O di ritoccare ancora il Jobs Act. Il vero problema è che si crea occupazione buona e stabile solo se c’è una ripresa dell’economia duratura e robusta. La manovra economica 2018, da questo punto di vista, ha un po’ deluso le aspettative, distribuendo mance elettorali e disperdendo le poche risorse disponibili in mille bonus. Probabilmente, si sarebbero dovute puntare tutte le carte sulla vera emergenza del Paese, quella del lavoro. Ma i frutti sarebbero arrivati troppo tardi. E, in ogni caso, non in tempo utile per capitalizzare un dividendo elettorale.