Antonio Troise
Non poteva cominciare meglio l’anno per le Borse. Un avvio scoppiettante, tutto di segni positivi e indici all’insù. Gli affari vanno benissimo quasi dovunque. Se è vero che i mercati finanziari anticipano quello che succede nell’economia reale, i segnali degli ultimi giorni lasciano ben sperare e danno un’ulteriore steccata ai cosiddetti “negazionisti” della ripresa, quelli che un giorno sì e l’altro pure si ostinano a considerare non chiusa la lunga stagione della recessione. Chi ha ragione? E, soprattutto, che cosa alimenta il vento rialzista che soffia nelle piazze finanziarie di mezzo mondo?
I motivi sono diversi. Tanto per cominciare e, verrebbe da dire, nonostante Trump, l’economia americana continua a marciare come se non si fosse mai parlato né del Russiagate né della corsa al “pulsante nucleare” fra il leader coreano Kim Jong-un e il presidente statunitense. Il Pil continua a correre ad un ritmo superiore al 3%. La riforma fiscale annunciata dalla Casa Bianca si è tradotta subito in una iniezione di ottimismo per consumatori e imprese. E poi c’è la Federal Reserve che, secondo i resoconti ufficiosi delle ultime riunioni, sarebbe poco propensa a una politica monetaria più aggressiva. Il cambio con l’euro resta debole, con tutto quello che ne consegue sul versante delle importazioni. Un quadro che, di fatto, torna a rendere appetibile l’investimento a Wall Strett. Un dato per tutti: il cosiddetto “indice della paura”, il Vix S&P-500, che registra la volatilità (ovvero le oscillazioni) dei prezzi delle azioni si attesta su valori vicini al record storico del 1993.
Da un capo all’altro dall’Atlantico il passo è brevissimo nell’economia globalizzata. A dare man forte alla ripresa ci sono anche i numeri che arrivano dall’eurozona. Italia compresa. Il Pil del quarto trimestre dovrebbe essere superiore alle attese. Infine, ultimo particolare di non poco conto, sui mercati è ancora presente l’abbondante liquidità generata dalle politiche espansive delle banche centrali. Secondo gli ultimi calcoli, la liquidità in eccesso sarebbe di 1800 miliardi di euro nel Vecchio continente e di 2100 miliardi di dollari negli Usa. Una vera e propria cuccagna se Bce e Federal Reserve continueranno a tenere fermi i tassi di interesse a livelli minimi.
E’ presto, però, per cantare vittoria. La ripresa, come ha sottolineato il Fondo Monetario Internazionale, è ancora piuttosto fragile. Le tensioni geopolitiche e i focolai di guerra rappresentano altrettanti segnali di allarme. Mentre in Europa la Bce dovrebbe ridurre gradualmente il “Quantitative Easing”, ridimensionando la liquidità sui mercati. Insomma, più che lasciarsi trascinare dall’euforia, sarebbe meglio puntare a consolidare la crescita. Sarà questa la vera sfida del 2018.