Antonio Troise
Un impianto di gas che esplode in Austria e, in Italia, scatta subito lo stato di emergenza. Per carità, niente panico: non significa che da domani non potremo cucinare o dovremo spegnere stufe e termosifoni. Per ora le forniture sono assicurate, anche se non è affatto detto che lo saranno per sempre. Nessuno vuole iscriversi d’ufficio al partito dei pessimisti cronici, sempre pronto a gufare contro il nostro Paese. Ma se basta così poco per mandare in tilt il sistema energetico, la responsabilità non è solo della “sfortuna” o del “caso” ma delle scelte dissennate fatte negli ultimi trent’anni. Alle quali aggiungere l’assenza di qualsiasi straccio di politica energetica.
Abbiamo cominciato con il referendum sul nucleare, tranne poi essere costretti a importare l’energia prodotta con l’atomo dalla Francia, a una manciata di chilometri dai nostri confini. Ci siamo mossi con molto ritardo sulla strada delle rinnovabili, alimentando speculazioni e facili illusione: basta vedere quello che è successo con il fotovoltaico. Nel frattempo abbiamo abbandonato il carbone per puntare tutte le nostre carte sul gas, meno inquinante e più costoso. Ma anche in questo caso, la coerenza non è stata certo il nostro punto di forza: vogliamo l’energia pulita ma poi sbarriamo la strada al Tap, il gasdotto che avrebbe dovuto portare energia dall’Azerbaijan. Se questa infrastruttura fosse stata già completata non ci saremmo neanche accorti, ieri, dell’esplosione in Austria. E, in ogni caso, non saremmo stati costretti a dichiarare l’emergenza.
Ma non è solo un problema di sicurezza. Tutto questo ha costi economici e sociali pesantissimi. Un dato per tutti: nel 2016 l’Italia ha dovuto acquistare all’estero il 76% dell’energia che ha consumato. Solo per avere qualche metro di paragone, il Regno Unito non va oltre il 45,5%, la Francia si ferma al 46%. Non è solo un problema di affidabilità. La dipendenza dall’estero ha un effetto immediato sulle nostre tasche. Gli italiani pagano mediamente un Mwh di energia il 30% in più rispetto ai francesi e o i tedeschi. In Svezia addirittura il costo è tre volte più basso. Con questi numeri, la competitività è solo un miraggio. E se l’Italia continua ad arrancare nelle classifiche della crescita, la colpa è anche delle scelte energetiche fatte dai nostri genitori e che nessuna classe politica è riuscita a cambiare. Certo, nessuno pensa di seguire la strada di Trump, pronto a rimettere in discussione gli accordi di Parigi e di tornare al carbone pur di ridurre la dipendenza energetica degli Stati Uniti e dare una nuova spinta alla ripresa. Ma è anche sbagliato continuare a fare finta di nulla e convivere con il rischio di restare a secco per un tubo che salta a centinaia di chilometri di distanza. I “gufi”, in questo caso, c’entrano davvero poco.
fonte: l’Arena