Alessandro Corti
Parte male la scalata di Giuseppe Conte a Palazzo Chigi, come se non bastassero i dubbi del Presidente della Repubblica e l’accordo raggiunto in extremis fra Salvini e Di Maio sul futuro premier del governo giallo-verde. Le rivelazioni del New York Times (e, non di qualche malalingua dell’opposizione) sul suo curriculum, frettolosamente ritirato dalla rete, sono state la classica goccia che potrebbe far traboccare il vaso e portare diritto alla scelta di un nuovo nome come Presidente del Consiglio. Ma il condizionale, naturalmente, è d’obbligo in un Paese dove l’esercizio delle dimissioni (o, in questo caso, del passo indietro) non è affatto la regola ma, casomai, l’eccezione. Per molto meno, per aver copiato la tesi di dottorato, Angela Merkel ha dovuto accettare le dimissioni del suo ministro dell’Istruzione, Annette Schavan, un brutto colpo per la Cancelliera a pochi mesi dalle elezioni. Ma la ministra è stata irremovibile nella sua decisione. Si era interrotto il rapporto di fiducia con gli elettori che un politico ha il dovere di tutelare a tutti i costi. Perfino negli Stati Uniti di Donald Trump, con un presidente più volte portato sul banco degli imputati per la sua vita privata, ha dovuto dire addio alla Casa Bianca Michael Flynn, il consigliere per la sicurezza nazionale. Il motivo? Semplice: avrebbe mentito sui suoi rapporti con l’ambasciatore russo. E, negli Stati Uniti, se c’è una cosa che il popolo americano non ha mai perdonato, è proprio quella di passare per bugiardo.
Certo, nel caso di Conte, si può parlare di uno schizzo di fango su una carriera peraltro molto ricca di successi professionali. Ma, al di là delle accuse della stampa americana, resta il fatto che sul suo futuro di premier si è sicuramente allungata più di un’ombra. Già il giorno prima il Financial Times aveva sollevato più di un dubbio sulla sua reale autonomia dai due leader che lo hanno scelto. Per ora, ovviamente, è presto per parlare di un suo passo indietro. Se non altro perchè solo oggi, molto probabilmente, sapremo se Mattarella davvero consegnerà nelle sue mani l’incarico di formare il nuovo governo. Ma i rumors sulla sua carriera, le presunte esagerazioni sul suo curriculum rischiano di indebolire l’uomo che dovrà rappresentare l’Italia nei principali appuntamenti internazionali. E, magari, perorare la richiesta di una maggiore flessibilità nelle regole di Maastricht davanti ai rigidi commissari di Bruxelles. Il problema, insomma, più che di sostanza, è di etica e di deontologia. La “terza Repubblica” invocata nel contratto di governo “giallo-verde” rischia di perdere subito credibilità a livello internazionale. Proprio quello che in questo momento il Paese non può permettersi. Anche al di là delle doti e delle capacità professionali di Conte.
Fonte: L’Arena