di Massimo Calise
Il Giorno della Memoria è una ricorrenza internazionale che il 27 gennaio di ogni anno commemora le vittime dell’Olocausto. Forse pochi eventi storici sono tanto densi di significato, intrisi di dolore e, pertanto, altrettanto meritevoli di una specifica giornata commemorativa.
Nella ricorrenza del 2017 ho ricordato l’utilità dell’arte come antidoto contro l’indifferenza (“Il giorno della memoria. L’arte antidoto contro l’indifferenza”).
Nel 2018, con aumentato pessimismo, devo sostenere, provocatoriamente, che nel giorno della memoria si rivaluti il dubbio; non inteso come esitazione o come paralizzante scetticismo ma come metodo necessario per interrogarci seriamente sulla nostra realtà. Tale pratica avrebbe due principali funzioni: vagliare la massa d’informazioni che sembrano sommergerci e verificare l’adeguatezza dei nostri comportamenti quotidiani.
Purtroppo la cronaca ci segnala l’intensificarsi di episodi preoccupanti: rigurgiti neofascisti, tifosi-teppisti, bullismo, baby gang. Fenomeni che non sono, come è stato detto, solo problemi di ordine pubblico. Non aiuta certo la visione, anch’essa preoccupante, di una politica tutta tesa alla ricerca del consenso e incapace di dare fiducia, speranza indicando credibili prospettive. I nuovi populismi non prospettano utopie ma alimentano la paura e il livore su cui fanno leva per ottenere consensi elettorali.
Uno scenario, qui appena abbozzato, poco rassicurante e nel quale i più si pongono, comprensibilmente ma non giustamente, nel ruolo di spettatori impotenti o, addirittura, indifferenti. È chiaro che non possiamo pretendere dalle commemorazioni, comunque celebrate, alcun effetto taumaturgico; tuttavia se la loro necessità è indubbia è altresì forte, appunto, il dubbio che, per le modalità con cui sono celebrate, possano essere poco utili. Infatti, quando non sono addirittura ignorate, spesso si riducono a commemorazioni storiche, a fugaci riti incapaci di stimolare riflessioni su noi stessi, sul nostro presente. Viceversa le commemorazioni dovrebbero, a mio avviso, essere associate alla pratica del dubbio metodico affinché, partendo da solide conoscenze storiche, si possa discutere dell’attualità del loro messaggio. Anche il dubbio inteso come risveglio dello spirito critico può essere un antidoto contro l’indifferenza.
Il Giorno della Memoria, ad esempio, potrebbe essere l’occasione per discutere i frequenti episodi di violenza, fisica e verbale, a cui molti sembrano assuefarsi?
Spiegare, per esempio, che l’Olocausto ha avuto un “prima” che ha seminato odio e violenza con il risultato di inquinare e mettere all’angolo la cosiddetta “società civile”. Tutti gli eventi storici hanno avuto un “prima” che, specialmente per quelli nefasti, è stato caratterizzato da sottovalutazione, superficialità e, soprattutto, indifferenza.
Il riferimento a quanto assistiamo, con dovute proporzioni ma senza pericolose sottovalutazioni, è quasi automatico.
Il dibattito pubblico è reso difficoltoso anche dalla mole di dati che i social networks mettono a nostra disposizione; la quantità e la velocità dei messaggi offre poco spazio alla riflessione e qualsiasi dialogo è complicato dalle fake news ossia da “balle”, a volte ben confezionate. Quest’ultime possono essere contrastate con il metodo del dubbio; semplice, faticoso e affascinante; esso implica la necessità di informarsi, discutere, confrontarsi e attingere dati da diverse fonti attendibili. Ma non basta, il dubbio metodico richiede di interrogarci sulla appropriatezza e coerenza dei nostri comportamenti quotidiani. Siamo sicuri che le tante cose che non ci piacciano della realtà che ci circonda non siano anche frutto delle nostre azioni o delle nostre inerzie? Siamo certi della bontà dei nostri comportamenti come genitori, figli, studenti, cittadini, lavoratori, … ?
I ripetuti inquietanti segnali, icasticamente rappresentati su di un muro da una svastica e dalla scritta “27 gennaio: nessuna memoria”, sono frutto di irriflesse certezze, dell’assenza di dubbi. Quindi mi sembra legittimo il dubbio che la memoria non accompagnata da riflessioni collettive serva a poco; non sia portatrice e generatrice di una attiva consapevolezza.
Il rancore, la sfiducia che permeano la società hanno motivazione reali ma non sarà con loro che creeremo un minimo di convivenza civile; occorre far leva su due prerogative dell’essere umano da rivalutare: la razionalità e l’umanità.